(Ansa)
Chiunque utilizzi WhatsApp il messaggio lo ha già ricevuto da qualche giorno, con due richieste: il consenso al trattamento dei dati personali – nel rispetto delle nuove regole europee applicabili da domani – e la dichiarazione di aver già compiuto 16 anni. Senza i quali, proprio in virtù di quelle nuove regole, dare il consenso spetta a un genitore. O dovrebbe: controlli non ce ne sono, basta mettere il segno di spunta nell’apposita casella e tutto continua come prima. Mentire è facile. A volte non serve neanche: molti divieti che riguardano i minori – ma che devono essere applicati dai maggiorenni – in Italia vengono ignorati sistematicamente. Nessuno dovrebbe consentire che un adolescente giochi d’azzardo, beva o fumi: gli adulti, invece, sono spesso complici perfetti. Cominciamo dall’azzardo che, per fortuna, sembra piacere sempre meno ai giovani: tra i minorenni diminuisce il numero dei giocatori che nel 2017 sono stati un milione contro il milione e 400mila del 2014.
I dati sono frutto della periodica indagine del Consiglio nazionale delle ricerche e sono di per se stessi inquietanti ma ancora di più lo diventano se si cerca di rispondere a una domanda banale: ma se il gioco d’azzardo è vietato ai minori, com'è che un milione di loro non esita a confessare di aver giocato? Eppure, come dimostra la ricerca del Cnr, solo uno studente su dieci (il 10,8%) non sa che giocare d’azzardo è un comportamento interdetto fino alla maggiore età. I gestori delle sale gioco e delle tabaccherie (il Gratta & Vinci resta la modalità di scommessa più diffusa, insieme con Lotto e Superenalotto) troppe volte preferiscono ignorare la legge, per scelta o per pigrizia: l’omessa vigilanza è più una regola che un’eccezione. È questo il vero nodo: tocca agli adulti far rispettare il divieto, impedire l’accesso alle aree destinate al gioco, ai punti vendita in cui le scommesse su eventi sportivi e non sportivi sono la principale attività. Né gli esercenti possono vendere ai minori tagliandi per le lotterie istantanee, accettare giocate al Lotto e a tutti i suoi simili.
Lo stesso vale per il fumo e per l’alcol: non è vero che ai minorenni è vietato bere e fumare, piuttosto – la legge parla chiaro – è vietato agli adulti accontentarli se chiedono sigarette e alcol. Malgrado ciò, anche in questo caso, come già per l’azzardo, le ricerche raccontano tutta un’altra storia: la terza indagine nazionale dell’Osservatorio permanente su giovani e alcol – con dati relativi al 2017 – dimostra che il 34,4% degli studenti della terza media inferiore ha bevuto per la prima volta dopo i dieci anni. Ma per il 27,3% il debutto alcolico è avvenuto tra i 6 e i 10 anni, per il 12,5% addirittura prima dei 6 anni. In totale, sommando a queste anche la percentuale di chi non ricorda l’età del primo bicchiere si arriva a un sostanzioso 86,5%: quasi la totalità dei quattordicenni ha già avuto un contatto con alcolici di diversa gradazione. Possibile che li abbiano avuti tutti in regalo o che siano riusciti a sottrarli di nascosto alle riserve dei genitori? Identico discorso per il fumo. L’indagine Doxa 2017 relativa ai fumatori in Italia, dimostra che fuma il 16,2% di chi ha tra i 15 e i 24 anni. Il 12,2% dei fumatori – che in totale sono 11,7 milioni – ha iniziato prima dei 15 anni.
La domanda resta la stessa: come si sono procurati le sigarette? Di risposte se ne possono trovare parecchie, specie facendo un rapido giro sulla rete. I consigli su come aggirare gli ostacoli – sempre ammesso che se ne trovino – fioccano. Il più sottile: scegli una tabaccheria che faccia anche da tavola calda o fredda, presentati alla cassa quando c’è la coda di chi ha terminato il pranzo e ha fretta di rientrare in ufficio e vedrai che la carta d’identità non te la chiederà nessuno... Provare per credere.
Lo stesso vale per gli alcolici: avete mai visto una cassiera, nella bolgia di un sabato pomeriggio al supermercato, chiedere un documento ai ragazzi in coda con una confezione di birre? Poi, va da sé, ci sono gli amici maggiorenni o i genitori di larghe vedute disposti a procurare pacchetti e bottiglie. Divieti ignorati e aggirati, inganni e bugie: nel mondo reale e in quello virtuale, dove i pericoli non sono meno insidiosi.
È cosa nota che per avere un profilo su Facebook si debbano avere 14 anni ma è altrettanto noto che ci sono bambini di 9 o 10 presenti e fin troppo attivi sulla piattaforma. I controlli sono inesistenti. Né restringerà le maglie di una sorveglianza lacunosa il nuovo regolamento europeo sulla privacy – entrato in vigore il 24 maggio 2016 ma direttamente applicabile dal 25 maggio 2018 – che porterà grosse modifiche alle norme che finora hanno regolato questa materia in tutti gli stati dell’Unione europea, Italia compresa. Una parte marginale riguarda i minori: l’articolo 8 stabilisce che il trattamento dei dati personali è lecito “ove il minore abbia almeno 16 anni”. In caso contrario, il consenso deve essere autorizzato dal titolare della responsabilità genitoriale. Ma la legge dà anche agli Stati membri la possibilità di abbassare quella soglia, purché non si scenda al di sotto dei 13 anni. Non è prevista però nessuna forma di controllo, tanto meno una sanzione per chi contravvenisse alle regole.