giovedì 27 giugno 2024
Nel 44esmo anniversario della strage in cui persero la vita 81 persone a bordo di un Dc9 si rivolge alle famiglie delle vittime e rilancia la tesi di Amato che chiama in casa la Francia e la Nato
Mattarella: «Per la verità su Ustica chiedere a Paesi amici di collaborare»

ANSA

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Su Ustica c’è da fare tutto quanto possibile per ricostruire la verità anche chiedendo la «collaborazione dei Paesi amici». Una «ferita aperta», la definisce Sergio Mattarella in un messaggio inviato nel 44esimo anniversario nella tragedia, «una strage di dimensioni immani» in cui «rimasero uccise tutte le 81 persone a bordo del DC9 in volo da Bologna a Palermo», ricorda il capo dello Stato, con evidente riferimento alla tesi, rilanciata di recente dall’ex premier socialista ed ex presidente della Consulta Giuliano Amato della “battaglia nei cieli” nel tentativo di colpire il leader libico Gheddafi, che chiama in causa la Francia.

«La Repubblica fu profondamente segnata da quella tragedia, che resta una ferita aperta anche perché una piena verità ancora manca e ciò contrasta con il bisogno di giustizia che alimenta la vita democratica». Mattarella, nel giorno dell’anniversario, si rivolge ai familiari delle vittime, «che non si sono arresi davanti a opacità, ostacoli, distorsioni e hanno sempre cercato, pur in condizione di umana sofferenza, di fare luce sulle circostanze e le responsabilità» per «rinnovare i sensi di una profonda solidarietà. La loro opera, unita a quella di uomini dello Stato che hanno compiuto con capacità e dedizione il loro dovere, ha contribuito a diradare nebbie e a ricostruire lo scenario di quel tragico evento».

Ora, sebbene sulla strada della ricostruzione della verità «passi significativi» siano stati compiuti (Mattarella ricorda il “Museo per la Memoria di Ustica”, aperto a Bologna) «la Repubblica non si stancherà di continuare a cercare e chiedere collaborazione anche ai Paesi amici per ricomporre pienamente quel che avvenne il 27 giugno 1980». Perché «la memoria è anche trasmissione, ai più giovani, dei valori di impegno civile che sorreggono la dignità e la forza di una comunità e le consentono di affrontare le circostanze più dolorose e difficili».

Amato aveva di recente parlato, in un’intervista a Repubblica di un piano per colpire l'aereo sul quale volava Gheddafi ma il leader libico si sarebbe salvato perché avvertito da Craxi. «Adesso l'Eliseo può lavare l'onta che pesa su Parigi. Potrebbe farlo Macron. E potrebbe farlo la Nato. Chi sa ora parli: avrebbe grandi meriti verso le famiglie delle vittime e verso la Storia», aveva aggiunto Amato nell'intervista, sottolineando che «la versione più credibile è quella della responsabilità dell'aeronautica francese, con la complicità degli americani. Si voleva fare la pelle a Gheddafi - aveva aggiunto -, in volo su un Mig della sua aviazione. Il piano prevedeva di simulare una esercitazione della Nato, una messa in scena che avrebbe permesso di spacciare l'attentato come incidente involontario».

Era intervenuto già Fabio Pinelli il vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura (di cui lo stesso Mattarella è presidente), annunciando di voler valutare con l'intero Csm «l’opportunità di avanzare alla Procura della Repubblica di Marsala la richiesta di rendere accessibili tutti gli atti del procedimento». Pinelli aveva citato anche Paolo Borsellino il quale «portò avanti una delicatissima attività di indagine scontrandosi sovente con reticenze e depistaggi. Basti ricordare la vicenda sul radar di Marsala». «Nessun atto riguardante la tragedia del DC9 è coperto da segreto di Stato», aveva commentato per parte sua la premier Giorgia Meloni.

«Gheddafi - ha sostenuto Amato - fu avvertito del pericolo e non salì sul suo aereo. E il missile sganciato contro il Mig libico finì per colpire il Dc9. L'ipotesi più accreditata è che quel missile sia stato lanciato da un caccia francese». Amato spiega di esser venuto in contatto con la vicenda da sottosegretario alla presidenza, nel 1986, e nei colloqui con la nostra Aeronautica si convinse che non era credibile la tesi da loro portata avanti della bomba esplosa dentro l'aeromobile. «Avrei saputo più tardi, ma senza averne prova che era stato Craxi ad avvertire Gheddafi». Tra fedeltà alla Costituzione e fedeltà alla Nato, per Amato, è prevalsa la seconda: «Mi chiedo perché Macron, anche anagraficamente estraneo alla tragedia non voglia togliere l'onta che pesa sulla Francia. O dimostrando che questa tesi è infondata oppure porgendo le scuse più profonde all'Italia e alle famiglie delle vittime in nome del suo governo». Bobo Craxi non aveva però avallato la tesi di Amato, nella parte concernente il padre, sostenendo che, è vero che tentò di aiutare Gheddafi a salvargli la vita, ma colloca il suo intervento successivamente, nel 1986, sei anni dopo quella tragedia. Nessun commento invece dall’Eliseo, pur dichiarando «disponibilità per lavorare con l'Italia se ce lo chiederà». Una possibilità che ora Mattarella, con il suo intervento rilancia.

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