Il presidente dell'Unione sportiva Acli Damiano Lembo (a destra) con don Gionatan De Marco Direttore Pastorale Cei Tempo libero, turismo e Sport. - Archivio
«Non è una tessera che può fare la differenza! Il virus quando decide di contagiare non distingue colori e simboli....». Damiano Lembo, per una volta, perde la sua proverbiale pacatezza e non nasconde il disappunto verso l’ultima decisione del governo: sospendere nelle zone rosse gli allenamenti degli atleti degli enti di promozione sportiva. Sono ore complicate per il presidente dell’Unione sportiva Acli. La preparazione del congresso (Lembo venne eletto per la prima volta quattro anni fa con il 97,5 dei consensi e venerdì sera verrà riconfermato) lascia per alcune ore spazio al confronto (per ora) solo a distanza con il governo. Lembo denuncia una «vergognosa disparità di trattamento». Parla di «sgarbo al mondo dello sport di base».
Poi, nelle ultime ore, valuta l’idea di scrivere una lettera al presidente del Consiglio Mario Draghi. Per ribadire che il discrimine deve essere solo la sicurezza e il rispetto dei protocolli che gli enti di promozione sportiva hanno concordato con il governo e imposto, non senza sacrifici di risorse e personale, alle loro società». Parole nette. Dure. Parole dietro le quali prende forma l’insoddisfazione del mondo degli enti di promozione.
Lembo ripete una sola parola: disparità. E attacca ancora: «Si deve ripensare la scelta di considerare una tessera federale immune dal virus e quella di un ente soggetta invece a contagio. Le nostre Asd e Ssd in un anno di pandemia non hanno perso soltanto soldi e lavoro, ma anche migliaia di tesserati che - tra il restare fermi e il poter fare sport - hanno preferito tesserarsi con altri organismi ai quali invece era consentita ancora la pratica sportiva». La linea di Lembo e delle Acli è la linea di tutti i 15 presidenti degli enti di promozione che allargano il fronte con nuove richieste. O meglio con una grande richiesta che riassume tutte le altre: «Serve attenzione alle nostre istanze. Serve considerazione per il nostro lavoro. E soprattutto serve un tavolo di confronto tra il governo e gli Enti di Promozione». Paroole nette a cui segue la spiegazione: «Nel Consiglio nazionale del Coni abbiamo cinque rappresentanti su 75 componenti, nella Giunta nazionale del Coni abbiamo un rappresentante su 16 componenti. Forse la strada maestra è la costituzione di un tavolo di lavoro con Coni, Sport e Salute Spa e Dipartimento per lo Sport dove sia prevista la partecipazione di tutti i 15 presidenti degli enti di promozione».
Presto però si torna alla casella uno. Alla denuncia di disparità. Una «scelta che offende i nostri valori, la nostra valenza nel tessuto sociale italiano e la nostra serietà! Noi i nostri protocolli li abbiamo sempre rispettati alla lettera, ma c'è un altro protocollo che ancora una volta qualcuno non onora: il protocollo dell'uguaglianza, del diritto di tutti e per tutti, e soprattutto quello della serietà e della parola data. Che in Italia, ci spiace constatarlo, continua a non avere grande valore. E forse a Palazzo Chigi qualcuno dovrebbe cominciare a riflettere».