martedì 10 settembre 2024
Dopo 11 mesi di guerra, e nessun segnale di cessate il fuoco, la scuola continua ad essere un diritto negato. E tra i morti ci sono anche 400 insegnanti
Un gruppo di bambini esegue esercizi di ginnastica tra le rovine in un centro educativo a Jabalia, nel nord della Striscia di Gaza

Un gruppo di bambini esegue esercizi di ginnastica tra le rovine in un centro educativo a Jabalia, nel nord della Striscia di Gaza - ANSA

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Anche a Gaza, ieri, è cominciato il nuovo anno scolastico. Ma solo sul calendario: per i bambini palestinesi il tempo di indossare uniformi fresche di bucato e di correre in classe non è ancora tornato. Dopo 11 mesi di guerra, e nessun segnale di cessate il fuoco, la scuola continua ad essere un diritto negato.

Le aule dei pochi edifici ancora in piedi sono aperte solo come rifugi di emergenza per gli sfollati. Le lezioni di storia e matematica improvvisate nelle tende, con i bambini seduti per terra invece che al banco, curvi sui quaderni appoggiati sulle ginocchia, sono solo parentesi di una routine segnata da sofferenza e distruzione.

Secondo il ministero dell’Istruzione la campanella non è suonata per 625mila studenti. A questi vanno aggiunti i 58mila bambini di sei anni che avrebbero dovuto entrare per la prima volta in un’aula scolastica. La scuola elementare, per loro, è rimandata a chissà quando. I numeri dei minori che il conflitto sta privando dell’istruzione sono in parte sovrapponibili ai 640mila in coda per ricevere il vaccino contro la poliomielite. Secondo Juliette Touma, dirigente dell’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi, Unrwa, «più a lungo i bambini restano fuori dalla scuola, più difficile sarà recuperare l’apprendimento perduto e più saranno vulnerabili».

Condannati, aggiunge, ad essere «una generazione perduta» esposta ad alto rischio di «matrimoni infantili, lavoro minorile e reclutamento nei gruppi armati». In una parola, a sfruttamento.

Lo scorso primo agosto, l’Unrwa ha lanciato un programma di ritorno allo studio in 45 dei suoi rifugi con insegnanti chiamati a organizzare attività (sport, giochi, teatro, musica e arte) pensate più per riconnettere i bambini alla propria infanzia, alla gioia dell’incontro con i vecchi amici, che per incoraggiarli a ripetere le tabelline.

Moataz, 15 anni, ieri avrebbe dovuto iniziare la classe decima, l’ultimo anno della scuola dell’obbligo. Invece si è svegliato in una tenda del campo profughi di Deir al-Balah, al centro della Striscia di Gaza, ed è stato mandato a riempire taniche d’acqua a più di un chilometro di distanza. La madre Umm Zaki ha ammesso che, oggi, non riesce nemmeno a sognare che qualcuno dei suoi cinque figli diventi un giorno medico o ingegnere: «Spero solo che la guerra finisca – ha precisato - prima che ne perda qualcuno».

Secondo i dati delle Nazioni Unite sono 11.500 i palestinesi in età scolare che hanno perso la vita nel conflitto mentre 15mila sono quelli rimasti feriti.

Si stima che tra i morti ci siano almeno 400 insegnanti. La normalità della scuola, compreso lo shopping da Pens and Pins, il più famoso negozio di cancelleria a Gaza, manca ai bambini ma anche ai grandi. Elaa Shaqfa, insegnante di matematica di una classe di orfani del campo di Khan Younis, prova a ricrearla in una lezione sulle divisioni. «Sto facendo del mio meglio perché sento forte la responsabilità di educatrice» precisa. Poi però ammette: «È faticoso rimettersi in sesto dopo aver perso mio marito e tre dei miei bambini». A darle forza è la speranza che brilla negli occhi dei bambini. Qualcuno, tra questi, prova pure a scherzare: «La matematica in tenda non si capisce, se fossi in una vera classe sarebbe più facile».
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