L’ebbrezza delle vittorie di tappa mano a mano sfuma, nel quartier generale di Matteo Renzi. C’era un obiettivo inconfessato e inconfessabile, all’inizio di questa crisi: cambiare il presidente del Consiglio. Al Quirinale il leader di Iv è rimasto a mezz’aria, chiedendo di dare priorità ai contenuti e senza mettere veti sul nome del premier. Ciò è bastato per evitare l’incarico diretto a Conte, ma il problema è solo rinviato: anche Renzi, adesso, ha solo 96 ore per dire un «sì» o un «no» definitivo e pubblico all’avvocato. Perciò, la sua reazione alla scelta di Mattarella resta interlocutoria: decisione «saggia » quella del Colle, dice Renzi, che Iv «onorerà lavorando su vaccini, scuola, lavoro e ovviamente Recovery Plan». Per il l’ex premier si accontenta del risultato parziale: hanno perso «la caccia al parlamentare e il populismo», si riaffacciano «le idee e la politica». Ma il punto di partenza dell’ex premier è lo stesso di qualche giorno e qualche settimana fa: «Conte è una parte rilevante del problema», ripete Renzi ai suoi in serata. Ma se anche fosse vero, come lui ipotizza, che Pd ed M5s sostengono il premier solo per facciata, la corda è così stressata che i dem e i pentastellati, dopo aver rinnegato il «mai più Iv», oltre non possono andare nei cedimenti. Lo scenario alternativo di una maggioranza trasversale e multipartisan è molto fragile e di fronte alla minaccia del voto anticipato lo stesso Renzi potrebbe perdere il controllo dei gruppi parlamentari.
Il ruolo di Fico è mettere in fila con l’ex premier tutte le controindicazioni di un suo «no» a oltranza al Conte-ter. Tra i due il rapporto è molto formale. Ma il presidente della Camera potrebbe addirittura solidarizzare con alcune istanze di Renzi, dato che dallo scranno più alto di Montecitorio spesso si è lamentato delle prassi istituzionali del Conte 2. Ha quindi dei numeri per dare garanzie a Iv. Specie sul metodo. Nel lessico del presidente della Camera l’aggettivo «plurale» va per la maggiore. È lui il padre, ad esempio, della «leadership plurale » che dovrebbe di qui a qualche settimana entrare in carica ai vertici di M5s. Perciò già si inizia a parlare di un «governo plurale», ovvero più «collegiale ». Potrebbe voler dire tante cose. Da un profilo più istituzionale e meno appariscente del premier a un ridimensionamento mento del suo apparato di comunicazione guidato da Rocco Casalino. Potrebbe voler dire il ritorno dei due vicepremier, uno del Pd e uno di M5s. O un ministro dell’Economia «forte» l’aggettivo stavolta è di Renzi per la gestione del Recovery plan. Potrebbe voler dire, ancora, l’ingresso dei capipartito - e anche dello stesso Renzi, per quanto lui continui a negarlo nella squadra di governo. Insomma, Fico ha un mandato abbastanza ampio per accogliere diverse delle richieste di Renzi. Ciò che non sta nel suo mandato è trovare un’alternativa a Conte. Né cadrà, il presidente della Camera, nelle lusinghe di chi dirà che il premier giusto potrebbe essere proprio lui: significherebbe mandare all’aria il Movimento di cui è in qualche modo il co-fondatore morale. Fico ha un mandato ampio anche sul programma. Si ragiona su uno schema: Renzi sgombera il campo dal Mes, M5s dalla prescrizione.
Oppure ci si incontra a metà, con l’attivazione di una parte del prestito sanitario e una correzione concordata del blocco della prescrizione. Ma poi si torna al punto dirimente: Renzi è pronto o no a re-fiduciare Conte? Di certo il nodo sarà sciolto all’ultimo secondo. Finché avrà uno spiraglio per andare al «bersaglio» grosso, il leader Iv ci proverà, soprattutto puntando sull’effetto- logoramento. Allo stesso tempo, Renzi avrà difficoltà a motivare - anche ai suoi gruppi - il «no» al Conte ter in presenza di numerose aperture dell’esploratore Fico. Ha vinto dei round, Renzi. Ma il decisivo è sempre l’ultimo.