Catiuscia Marini, presidente dimissionaria della Regione Umbria, in una foto d'archivio (Ansa)
La decisione è rimasta nell’aria per tutta la giornata. Ieri sera, finalmente, Catiuscia Marini ha rotto il silenzio nel quale si era chiusa e ha annunciato le sue dimissioni da presidente della Regione Umbria a causa del coinvolgimento nell’inchiesta giudiziaria sui concorsi nella sanità regionale.
«Io sono una persona perbene, per me la politica è sempre stata "fare l’interesse generale"», ha scritto in una lettera, e «sono sicura che ne uscirò personalmente a testa alta, perché - credetemi - io non ho niente a che fare con pratiche di esercizio del potere che non siano rispettose delle regole e della trasparenza, rifuggendo sempre da consorterie e gruppi di potere». Tuttavia, ha concluso, è giusto «rassegnare ora le mie dimissioni perché ritengo di tutelare così l’istituzione» e «avere la libertà di dimostrare la mia correttezza».
Pochi istanti dopo, quasi a confermare una soluzione concordata con Roma, ecco il «ringraziamento» del segretario nazionale del Pd Nicola Zingaretti «per aver scelto di mettere al primo posto il bene della sua Regione».
Chiusa fin dal mattino a Palazzo Donini, sede della Giunta regionale nel cuore di Perugia, Marini aveva prima consultato il suo avvocato Nicola Pepe. Poi aveva incontrato Walter Verini, il commissario del Pd regionale nominato Zingaretti venerdì scorso, dopo gli arresti del segretario Gianpiero Bocci e dell’assessore Luca Barberini.
«Zingaretti non mi ha chiesto di dimettermi», ha voluto precisare a sera l’ormai ex-governatrice. Un elemento che il M5s utilizza per attaccare il segretario del Pd: «Non ha avuto nemmeno il coraggio di mandarla a casa. Felici? No, delusi da questa vecchia politica».
Non c’è dubbio, tuttavia, che dal Partito democratico fossero arrivati in giornata due segnali piuttosto chiari. L’editoriale dell’edizione di ieri di Democratica, quotidiano online del Pd, portava un titolo significativo: «Umbria, adesso aprire porte e finestre». Cambiare aria, dunque, rispetto a quelle che l’articolo definisce «le incrostazioni legate a vecchie filiere» di potere.
Il primo "avviso" era stato pronunciato intorno all’ora di pranzo dallo stesso Zingaretti: «Confido nel senso di responsabilità e nelle valutazioni della presidente Marini perché faccia ciò che è meglio per l’Umbria e per la sua comunità».
Non era un invito formale a dimettersi, ma sembrava tanto un suggerimento a farlo. Anche perché il segretario non si era fermato lì: «Noi non ci accontentiamo di dire "la magistratura faccia il proprio dovere" come è ovvio – aveva infatti aggiunto –. Noi vogliamo aprire, dopo anche i casi che hanno coinvolto la Lega, il M5s a Roma, ma anche alcuni apparati dello stato, una discussione molto seria sull’idea di cosa significa gestire il potere. C’è un tema di eticità della classe politica e di chi gestisce il potere che noi vogliamo mettere al centro e c’è un tema di selezione della classe dirigente. Un salto di qualità he intendo fare con la massima determinazione».
Molto più esplicito, nel suo ruolo di leader "liberal" dentro il Pd, Carlo Calenda. Per l’ex ministro dello Sviluppo, infatti, «la situazione è vergognosa e le intercettazioni di Catiuscia Marini sono molto gravi». Giuste quindi le dimissioni, per il fondatore di "Siamo Europei": «Perderemo l’Umbria? E perderemo l’Umbria, ma conserviamo l’onore».