venerdì 4 agosto 2017
Dopo le minacce del generale Haftar, uomo forte di Tobruk, anche un vicepresidente del governo libico guidato da al Sarraj chiede lo stop alla missione navale di Roma. Prosegue l'inchiesta Iuventa
(Ansa)

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«L’accordo con l’Italia? È una palese violazione della nostra sovranità». Fathi al Mejbari, uno dei quattro vice-presidenti del Consiglio presidenziale libico guidato, a Tripoli, da Fayez al Sarraj, chiede al governo del nostro Paese di cessare subito la missione navale in acque libiche sollecitando l’Onu a un intervento immediato e invitando la Lega Araba e l’Unione africana a una condanna dell’accordo politico per sostenere le posizioni della Libia.

Alle minacce di bombardare le navi italiane che si inoltreranno nel mare territoriale libico pronunciate dall’uomo forte di Tobruk, il generale Khalifa Haftar, il 2 agosto scorso – sempre smentite però da Palazzo Chigi – si aggiunge ora questa presa di posizione dell’esponente del governo di unità nazionale di Tripoli. Segno di una spaccatura profonda esistente nei vertici politico-istituzionali del Paese nordafricano.

Secondo fonti vicine alla Farnesina, infatti, le ultime dichiarazioni «rientrano nella dinamica di un dibattito interno libico - che l’Italia rispetta pienamente - e non inficiano in alcun modo il rapporto di cooperazione tra i due Paesi, mirato a potenziare la lotta contro i trafficanti di esseri umani - questione di importanza capitale per entrambi - e a rafforzare al tempo stesso la sovranità libica, il tutto all’interno di una cornice giuridica certa». Il governo italiano ribadisce quindi «che le iniziative del programma a sostegno della Guardia costiera libica saranno effettuate solo su espressa richiesta della stessa e del governo di Tripoli». La missione, dunque, andrà avanti secondo gli accordi stipulati da Gentiloni e da al Sarraj che hanno valore nel diritto internazionale.

Intanto le acque del Mediterraneo continuano ad essere agitate. Anche per le conseguenze del protocollo di comportamento predisposto dal Viminale per chi partecipa alle operazioni di salvataggio dei migranti che arrivano nei barconi della morte: provvedimento resosi necessario, secondo il nostro governo, per evitare collegamenti tra gli equipaggi delle ong e gli scafisti.

La nave Iuventa, sottoposta a sequestro preventivo da parte dell’autorità giudiziaria, è approdata ieri alle 17.30 al porto di Trapani proveniente da Lampedusa. A bordo della nave proprietà della ong tedesca Jugend Rettet (La gioventù salva) c’erano i militari della Guardia costiera mentre i sedici membri dell’equipaggio sono rimasti a terra prima della partenza. Il procuratore della città siciliana, Ambrogio Cartosio, sta indagando, per il momento, nei confronti di ignoti, proprio sull’ipotesi di «favoreggiamento dell’immigrazione clandestina» in quanto «ci sarebbero gravi indizi di contatti con i trafficanti».

L’inchiesta riguarda almeno tre episodi, avvenuti il 18 giugno e il 26 giugno di quest’anno e il 10 settembre 2016. Ma i legali dell’organizzazione respingono fermamente ogni accusa. «Non c’è alcun fondamento, l’unica finalità della Jugend Rettet è salvare vite umane» ha ribadito l’avvocato Leonardo Marino. Intanto, su richiesta dei pm Andrea Tarondo e Antonio Sgarrella, la polizia ha sequestrato anche pc, smartphone e documenti di bordo. Nelle prossime ore sarà pronto il ricorso per ottenere il dissequestro della nave «senza la quale – afferma l’avvocato – la ong non può operare per il salvataggio dei migranti». «Non si può, per pochi episodi da accertare – conclude Marino – cancellare quanto di positivo è stato fatto finora». Il fermo dell’imbarcazione non ha a che fare, in ogni caso, con il codice di comportamento predisposto dal Viminale e sottoscritto, finora, solo da tre organizzazioni (e non dalla Jugend). Si tratterebbe quindi di reati eventualmente perpetrati al fuori di quel contesto.

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