Tav ad alta tensione tra i vicepremier Di Maio e Salvini (Ansa)
Intransigente prima, più conciliante poi. Come in certi film polizieschi, nella estenuante saga politica della Tav Matteo Salvini interpreta nella stessa giornata prima il ruolo del partner "duro" e quindi quello del "dialogante". Di buon mattino, strapazza gli alleati di M5s, sbarrando la porte alle trattative: «Nessun vertice di governo oggi, vado a Milano, ne parliamo lunedì. Io sono per fare, non per disfare...». Ma in serata, dopo che Luigi Di Maio gli ha dato del «bambino», accusandolo fra le righe di tirare troppo la corda, il leader leghista torna rassicurante: «Nessuna crisi di governo e nessuna nostalgia del passato, lavoriamo per unire e per dare lavoro, sviluppo e futuro all’Italia. Col buon senso si risolve tutto».
Come spesso accade, la verità sta nel mezzo. Nel Carroccio, la convinzione rimane quella che l’Alta velocità Torino-Lione sia una infrastruttura necessaria. Ma ora che la tensione con M5s, Salvini ragiona su come tenere insieme capra (la solida tenuta del governo) e cavoli (l’avanzamento dei lavori della Tav). In più, lo stallo politico sull’opera alimenta i malumori degli industriali piemontesi e potrebbe compromettere l’eventuale vittoria nelle regionali in Piemonte, previste a maggio.
Pressing sui bandi. Sulla decisione per i bandi di gara, da prendere entro lunedì, il vicepremier leghista resta convinto che l’esecutivo debba procedere, poiché il contratto di governo prevede la revisione, non il blocco del progetto. Ma il tempo stringe e, senza altri round di trattativa politica nelle prossime 48 ore, c’è il rischio di arrivare a lunedì sprovvisti di una soluzione concordata fra i due partner di governo.
Così, al silenzio "ufficiale" del segretario, la Lega affianca le voci di diversi esponenti di peso: dai governatori di Lombardia e Veneto Attilio Fontana e Luca Zaia, a coloro che provano a suggerire una exit strategy, che non sia il ritiro dell’Italia: «Matteo Salvini ha detto in maniera chiara che nessun ministro della Lega voterà in Consiglio dei ministri la sospensione dei bandi, che non si può fare senza un passaggio parlamentare», ribadisce il capogruppo alla Camera Riccardo Molinari.
Pertanto, «l’unica soluzione che vediamo è che i bandi partano e, mentre partono, si proceda con la ridiscussione sul finanziamento con Francia e Ue, per ottenere un finanziamento maggiore». Un’altra ipotesi percorribile dal governo, si valuta nel Carroccio, è chiedere alla Commissione Europea di posticipare la data di scadenza per i bandi, per non perdere i 300 milioni di euro in ballo in questa fase (su 800 milioni in totale di fondi europei). «Però non è detto che l’Ue dia una risposta positiva – osserva ancora Molinari –. Ma noi non vediamo altre soluzioni. Sospendere i bandi in queste condizioni non è percorribile dal punto di vista giuridico».
Un "lodo Siri"? Trattative politiche o meno, per i giuristi di Palazzo Chigi si prevede un weekend di lavoro intenso. Dovranno analizzare ogni cavillo che, nelle pieghe del complesso contratto fra Italia e Francia per la realizzazione dell’Alta velocità, possa consentire di prendere tempo senza far svanire centinaia di milioni di euro. Una proposta concreta, attraverso il ricorso a un "tecnicismo", arriva dal sottosegretario leghista alle Infrastrutture Armando Siri: «I bandi di Telt per la Tav si possono pubblicare con la clausola della "dissolvenza" prevista dal diritto francese – argomenta –. Con quella clausola, nonostante la pubblicazione, possono essere revocati in qualsiasi momento».
Un escamotage che, se davvero possibile in punto di diritto, otterrebbe il duplice risultato di onorare la scadenza, come vuole il Carroccio, ma senza prendere un impegno cogente, come chiede M5s. L’uovo di Colombo, insomma, per entrambi. Tanto che in serata, esponenti pentastellati mandano a dire allo stato maggiore leghista di non esser contrari. A patto però di discuterne «attorno a un tavolo» e non a distanza, attraverso dichiarazioni rilanciate dalle agenzie di stampa.