“Innanzitutto benvenuta! Ora Tafida ha la possibilità di proseguire le cure in un luogo in cui è accolta e accudita. La risposta che il Gaslini dà a lei e alle migliaia di Tafide che ogni anno accogliamo da 70 Paesi del mondo è una risposta di dignità e giustizia. Questo è un momento di gioia e soddisfazione”.
Il giorno dopo l’arrivo rocambolesco della bambina inglese in aereo-ambulanza al Gaslini di Genova, dove alla fine di una lunga battaglia legale l’Alta Corte britannica ha concesso ai genitori di ricoverarla, a parlare sono i camici bianchi, seduti accanto a mamma Shelina e papà Mohammed. “Qui con noi medici – sottolinea il direttore generale del pediatrico Paolo Petralia – c’è tutto l’ospedale, fatto di infermieri, operatori, alte professionalità che lavorando nell’ombra consentono questo grande risultato di umanità e competenza. Fondamentale è stato anche il ruolo dei Giuristi per la Vita, che hanno sostenuto tutta l’operazione”.
Giuristi per la Vita che poco prima insieme all’associazione CitizenGo davanti all’ospedale hanno creato un momento di benvenuto alla famiglia Raqeeb, cui ha preso parte una piccola folla di genovesi. In mano i cartelli che chiedono la cittadinanza italiana per Tafida: “Potrebbe subire ancora futuri contraccolpi dalle autorità inglesi – spiega infatti il direttore di CitizenGo Italia, Filippo Savarese –, inoltre le spese per restare in Italia sono ingenti. Noi abbiamo raccolto 280mila firme nel mondo e 70mila euro di fondi, consideriamo già Tafida nostra concittadina perché ha chiesto di essere accolta dall’umanesimo che qui ancora vige”.
Non ovunque, se “nel Regno Unito si è scesi su un piano strettamente economico, per cui la persona è un costo o un beneficio, conviene o no curarla”, precisa Ignacio Arzuaga, presidente internazionale di CitizenGo venuto dalla Spagna.
Tafida era una bimba vispa di 5 anni quando, a febbraio, è stata colpita da un’emorragia cerebrale. “Dal giorno stesso del ricovero – ha denunciato ieri Shelina, 39 anni, per la prima volta sul punto di lasciarsi andare e finalmente piangere – i medici del London Royal Hospital ci hanno detto ‘non c’è futuro, Tafida morirà, non sperate nulla’, parole che ci hanno ripetuto fino all’ultimo momento. Contro la loro volontà di staccare i sostegni vitali abbiamo dovuto combattere una battaglia dolorosa. In Italia ho trovato medici molto diversi e con loro la speranza. Per questa vittoria saremo eternamente grati al Gaslini, agli italiani, a Giuristi per la Vita e CitizenGo”.
Ha appena trascorso qualche ora accanto alla sua bambina nel reparto Rianimazione e l’ha vista “stabile, completamente sveglia. Ora è nelle vostre mani – si rivolge ai camici bianchi –, la affidiamo a voi, speriamo che possa riprendersi e avere altri miglioramenti come quelli che nei mesi scorsi ha avuto costantemente”.
A fare il punto sono allora Andrea Moscatelli, anestesista e responsabile della Terapia intensiva, che è andato a Londra a prendere la bambina insieme all’équipe medica, e Luca Ramenghi, primario di neonatologia, coordinatore del gruppo di lavoro multidisciplinare: “Il nostro obiettivo ora è permettere alla famiglia di portare a casa la bambina e lì darle ventilazione meccanica e nutrizione. Per questo procederemo certamente alla tracheotomia e alla gastrostomia, dandole così ogni sorta di sollievo. Il Gaslini ha un servizio che accompagna le famiglie nella domiciliazione”.
Passo passo, i trattamenti verranno adattati alle variazioni dello stato di Tafida, “tenendo al centro la dignità della bimba e in alleanza terapeutica con la famiglia”, spiega Moscatelli. Fondamentale ciò che specifica Petralia, “qui daremo tempo al tempo. Un tempo denso di valore, perché avrà le cure proporzionate per essere efficaci e giuste: è l’atteggiamento normativo, deontologico, che a noi medici dice chiaramente che cosa è giusto fare e cosa non fare”. Nessun accanimento e nessun abbandono. Dovrebbe essere scontato, tant’è che chiede aiuto ai giornalisti: “Utilizzate sobrietà, perché tutto questo rientra in una dimensione di normalità, deve diventare ordinarietà”.
La storia di Tafida, ricorda Filippo Martini, segretario generale di Giuristi per la Vita, “è il primo precedente per il quale si afferma il principio che il ‘best interest’ è essere trasferito in un ospedale di prim’ordine. La battaglia è stata senza esclusione di colpi, alla fine 70 pagine di sentenza hanno accreditato il Gaslini come una struttura idonea a curare la bambina”. I Giuristi per la Vita ora non si fermano, “questa è una vicenda che va raccontata, abbiamo fatto istanza di cittadinanza per la piccola, Salvini non l’ha presa in considerazione, nemmeno il nuovo governo ci ha risposto, speriamo che facendo parlare di Tafida questo avvenga”.
I mesi persi in battaglie legali erano preziosi, ma non comprometteranno “il futuro delle cure e una possibile ripresa di Tafida”, assicura Moscatelli.
“Con i colleghi inglesi non c’è stata alcuna contraddizione rispetto alla valutazione della bambina, quello che cambia però è la modalità con cui noi assistiamo, nel senso che a Londra nell’attesa del pronunciamento della Corte alcuni passi che rendono più confortevole i trattamenti intensivi non sono stati fatti. Anche in una prospettiva di non poter guarire Tafida, ha molto senso ottimizzare i supporti vitali, in modo da renderli più umani e confortevoli. Questo faremo qua”.
Shelina infine lo ammette, non fosse stata avvocato forse non sarebbe qua, ma “nessun genitore si sarebbe arreso: di fronte alla vita di un figlio non c’è modo di fermare una madre”.