Nel carcere di Opera - Fotogramma, foto d'archivio
La chiameremo Maria, anche se non è il suo vero nome. Quando stringe a sé il suo bambino, per un attimo dimentica di stare in un carcere. Dura poco però, perché le porte di ferro, le sbarre alle finestre e tutto il resto le rammentano subito, impietosamente, la propria condizione di detenuta-mamma. Sconta la pena nella casa circondariale di Reggio Calabria, «dunque, non in una struttura protetta, come purtroppo talora per varie ragioni succede», spiega la Guardasigilli Marta Cartabia, ascoltata ieri mattina dalla Commissione parlamentare per l’Infanzia, alla quale ha fornito dati e valutazioni sulla situazione delle detenute insieme alla prole e sulla giustizia minorile. «La nostra meta ideale è: mai più bambini in carcere», auspica la ministra, convinta che «occuparsi delle detenute madri vuol dire occuparsi dei bambini innocenti che, loro malgrado, sono costretti a conoscere e sperimentare il carcere. Reclusi loro stessi, insieme alle madri».
Cifre in calo. In Italia il numero delle madri con figli in carcere è «in forte diminuzione», un terzo di quello registrato nel 2019, «quando c’erano 44 madri con 48 minori». Attualmente si contano «15 madri detenute» (5 italiane, 10 straniere) «con 16 figli in totale al seguito». Fra loro, «5 sono ancora imputate», in attesa di un giudizio definitivo. Fra le strutture, quella che ne ospita di più, 9, è l’Istituto a custodia attenuata per madri (Icam) a Lauro, in provincia di Avellino. Un edificio moderno, dove – anche col contributo dell’Università Federico II di Napoli – gli spazi interni sono stati ristrutturati e trasformati in «bilocali» che «simulino il più possibile un ambiente familiare» e aiutino a ridurre «il trauma di anni trascorsi in una casa di reclusione». Due mamme recluse si trovano nell’Icam milanese di San Vittore; altre due in quello di Torino, una nell’Icam di Venezia Giudecca. Mentre nel quinto istituto italiano a custodia attenuata, a Cagliari, al momento non ci sono madri con figli.
La condizione di quelle quindici donne e dei loro bambini sta a cuore alla ministra: «Sento moltissimo il peso della responsabilità per quello che riusciamo o che non riusciamo a fare in quest’ambito», in cui «le difficoltà sono più significative e ingombranti di quanto si possa immaginare». Le fa eco la presidente della commissione parlamentare Licia Ronzulli: «Ci sono ancora troppi bambini senza colpa costretti a crescere dietro le sbarre – afferma –. Minori senza un padre che trascorrono l’infanzia in un contesto opposto a quello in cui ogni bambino dovrebbe crescere».
Giovani autori di reati. Secondo i dati del ministero di via Arenula, alla data del 31 dicembre scorso, erano 20.748 «i minorenni e giovani adulti presi in carico dagli uffici di servizio sociale per minori», in gran parte sottoposti a misure eseguite in area penale esterna. Alla stessa data, negli istituti penali per minori si sono registrati 815 ingressi, con una crescita rispetto all’anno precedente. Ancora, «nei centri di prima Accoglienza, nel 2021, gli ingressi sono stati pari a 561», mentre nello stesso periodo «nelle comunità, sia ministeriali che private, i collocamenti sono stati 1.480».
Baby manovali di camorra. Cartabia riferisce di «minori usati come manovalanza della criminalità organizzata, a cominciare dalla camorra». E poi ci sono adolescenti «talvolta protagonisti dell’altrettanto preoccupante fenomeno delle cosiddette baby gang». Un allarme che rafforza quelli lanciati da diverse Corti d’Appello durante l’inaugurazione dell’anno giudiziario.
Furti, rapine e droga. Fra i reati commessi da minori, i più frequenti sono quelli contro il patrimonio (1.007 casi nell’ultimo anno, soprattutto furti e rapine), ma spiccano pure le violazioni delle norme sulle sostanze stupefacenti (208 casi) e le lesioni personali volontarie (177).
La «messa alla prova». La prassi mostra come, per contrastare la devianza minorile, una risposta «altamente efficace» sia rappresentata dall’esperienza della messa alla prova. Dati alla mano, «l’83,55% dei provvedimenti definiti in sede processuale fra il 2007 e il 2020 ha avuto un esito positivo», fa sapere la ministra, ritenendo che «la migliore strada è sempre quella di mostrare un’alternativa solida, concreta, affidabile rispetto al percorso del crimine». I fatti mostrano, ammonisce Cartabia, che «chi nasce in un contesto mafioso non è ineluttabilmente condannato a un’eredità criminale». Spetta, prosegue la Guardasigilli, «a noi adulti, alla scuola e a tutti gli educatori, spezzare un presunto destino di devianza», offrendo a ogni ragazzo «una proposta alternativa alla seduzione della criminalità» e favorendo sempre più il «dialogo tra il mondo della giustizia e quello della formazione scolastica».
Cosa sono gli Icam
Si chiamano Icam: sono gli Istituti a custodia attenuata per madri detenute. Sono strutture costituite in via sperimentale nel 2006 per consentire alle donne che devono scontare una pena e che non possono usufruire di alternative alla detenzione in carcere, di tenere con sé i loro figli. L’ordinamento penitenziario italiano prevede che le madri detenute con prole inferiore ai sei anni debbano infatti usufruire di trattamenti alternativi alla detenzione.