domenica 2 giugno 2019
Un anno fa Soumaila Sacko, bracciante maliano, venne ucciso a fucilate mentre raccoglieva lamiere per farsi una baracca. Il sindaco: solo promesse, qui resta la discarica di rifiuti tossici
Ritorno a San Ferdinando: è morto per niente il migrante sindacalista
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Il luogo dove un anno fa venne ucciso Soumaila Sacko, bracciante maliano, sindacalista, che viveva nella baraccopoli di San Ferdinando, è ormai impraticabile. L’accesso della fornace in località 'Tranquilla' di San Calogero, dove con due amici stava raccogliendo delle lamiere per costruire una baracca, è ricoperto di ginestre in fiore cresciute rigogliose. La natura ha ripreso il suo spazio. A terra si vedono ancora le lamiere che i tre giovani avevano raccolto prima dei colpi di Antonio Pontoriero che uccisero Soumaila. Un anno è passato, ma nulla è cambiato. Solo quei profumati fiori gialli.

A San Ferdinando la baraccopoli, che era arrivata ad ospitare più di 2mila lavoratori immigrati, non c’è più. Sgomberata e smantellata il 6 marzo. Ma sono rimasti gli enormi cumuli di rifiuti, migliaia di tonnellate, i resti delle baracche. Tante lamiere, come quelle che Soumaila stava raccogliendo in quei capannoni sotto sequestro dal 2009 perché trasformati in una pericolosissima discarica di rifiuti tossici. E con le lamiere tanti pezzi della vita degli immigrati.

Camminiamo tra decine di 'collinette'. Materassi, reti, coperte, pentole, valigie, televisori, cavi elettrici, i resti delle tende messe dalla protezione civile nel 2011 dopo la rivolta degli immigrati contro lo sfruttamento degli imprenditori agricoli e la violenza della ’ndrangheta. Tutto è silenzio, tranne il rumore delle lamiere smosse dal vento. Tutto è ancora lì, come tre mesi fa, ammucchiato dalle ruspe dell’Esercito. Eppure il ministro dell’Interno, Matteo Salvini, aveva annunciato un finanziamento di 350mila euro per il Comune di San Ferdinando per risanare l’area. «Io quei soldi non li ho ancora visti – denuncia il sindaco, Andrea Tripodi –. Solo una settimana fa è arrivata una lettera del ministero con la quale mi si avvisa che sono stati disposti questi finanziamenti per il superamento delle condizioni di degrado. Noi pensiamo di utilizzarli per avviare la gara per lo smaltimento dei rifiuti. Secondo una nostra valutazione, servono 560mila euro. Ma io non ho altri finanziamenti utili allo scopo, posso solo avviare la gara fino alla sufficienza delle somme. Anche perché si tratta di rifiuti speciali. E la quantità è impressionante». Tripodi è giustamente «molto preoccupato. Bisogna fare presto. Perché già ad agosto cominceranno ad arrivare altri immigrati e poi non vorrei che o per autocombustione o per volontà dolosa scoppi qualche incendio». E sarebbe veramente un disastro.

Ma c’è un’altra preoccupazione che ci riferiscono alcuni responsabili delle Forze dell’ordine. È quella che tutto quel materiale possa essere utilizzato per ricostruire baracche. È già pronto, non c’è bisogno di girare. Anche perché ancora non si è creato nulla in termini di accoglienza.

Ma torniamo ai fatti drammatici di un anno fa. Antonio Pontoriero è ancora in carcere e il processo è in corso. Anche per i rifiuti interrati, ben 135mila tonnellate di ceneri di centrali elettriche, il processo sta andando avanti, pur se a rilento, ma almeno per ora si è evitata la prescrizione. Ma di bonifica non se ne parla. Negli scorsi mesi abbiamo più volte sollecitato il ministero dell’Ambiente ad intervenire, almeno per accertare dove sia arrivato l’inquinamento. Infatti dopo la scoperta dei rifiuti e il sequestro, era stata vietata la coltivazione nell’area circostante. Ma attorno alla fornace è invece tutto coltivato ad agrumi e olivi, culture in atto, rigogliose, ma sane? Nulla è stato fatto anche su questo fronte. Anche sul fronte dell’accoglienza dei lavoratori immigrati.

Smantellata la baraccopoli resta solo la tendopoli realizzata nel 2017 per 450 persone. In questi giorni ne ospita, dati ufficiali della Prefettura di Reggio Calabria, circa 600. Non sono gli 850 che erano stati ammassati dopo le sgombero delle baracche, in una condizione ad alto rischio. E infatti il 22 marzo, nel rogo di una tenda, quasi sicuramente innescato da un difetto dell’impianto elettrico, era morto Sylla Noumo, 32 anni del Senegal. Dopo il dramma erano state tolte molte delle tende aggiunte, per ricreare spazi di sicurezza, un’operazione resa possibile dal fatto che in questo periodo molti immigrati si trasferiscono in Puglia per la raccolta del pomodoro. Però 600 «sono un numero che a giugno non si era mai visto – sottolinea ancora il sindaco –. A un anno dall’uccisione di Soumaila prospettive di cambiamento e di risoluzione non ci sono. Avevamo proposto di avviare un ripensamento complessivo nella Piana di Gioia Tauro, creando con uno sforzo corale delle vere e regolari occasioni di lavoro. Solo col lavoro si può cambiare qualcosa. Altrimenti la situazione andrà nuovamente degradandosi. È quello che temo».

Il ministero dell’Interno aveva annunciato l’arrivo di moduli abitativi da assegnare ai Comuni della Piana. Ma, denuncia Tripodi, «non sono quelli promessi, ma già usati per i terremotati e non vanno assolutamente bene. Anche se arrivassero quelli giusti c’è bisogno del trasporto, della sistemazione e degli allacciamenti, tutto a spese della città metropolitana di Reggio Calabria che non è disponibile a sostenere una tale spesa». E in tutto questo, come sempre, è l’allarme del sindaco, «ci sono quelli che soffiano sul fuoco con la volontà di incendiare. È un miracolo che non sia ancora successo niente, ma solo perché riusciamo a spegnere e sopire. Ma noi da soli, di più non possiamo fare».

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