venerdì 10 novembre 2023
Sindi Manushi, 31 anni, è arrivata nel Cadore a 9 anni ed è prima cittadina in Veneto dall’estate scorsa: «L'accordo è un fallimento. E la convivenza con i migranti è possibile»
Sindi Manushi

Sindi Manushi - Tommaso Albrizio

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Inutile. Dispendioso. Una dimostrazione di debolezza. È severo il giudizio dell’avvocata civilista Sindi Manushi, 31 anni, dalla scorsa estate sindaca di Pieve di Cadore, sull’accordo tra Tirana e Roma per la gestione dei migranti salvati in mare. Manushi è nata in Albania e nel Bellunese è arrivata a 9 anni per ricongiungersi, con madre e fratello, al padre saldatore in fabbrica.

«No, non sono approdata con i barconi, come qualcuno ha scritto, ma con un traghetto», scherza la giovane sindaca, la prima in Italia di origini albanesi, a capo della lista civica “Pieve futura”. Per diventare italiana, però, Sindi Manushi ci ha messo quasi 3 lustri: la cittadinanza infatti è arrivata solo nel 2015, quando aveva 23 anni ed era una brillante studentessa di Giurisprudenza.

Dunque sindaca, il suo Paese d’origine è chiamato a gestire 36mila migranti all’anno, salvati dall’Italia nel Mediterraneo. Cosa pensa di questo accordo?

Penso che sia inutile e dispendioso. E in quanto albanese emigrata, vivo qualche implicazione di carattere morale.

Partiamo dall’inutilità. Perché?

Perché l’accordo prevede che i migranti rimangano nel centro un mese, al termine del quale, svolti gli accertamenti, dovranno essere rimpatriati nel Paese di provenienza oppure trasferiti in Italia. Sappiamo che dall’Italia vengono rimpatriati pochi migranti all’anno. Quindi nell’ipotesi più probabile l’Albania sarà una sorta di “autogrill”, un’altra tappa verso l’Italia.

Dice che è dispendioso, perché?

Perché finanzieremo un Paese per un lavoro che potremmo svolgere in casa nostra, con minor spesa, minori problemi logistici e minori complicazioni di carattere diplomatico.

Arriviamo alle implicazioni morali. Quali sono?

Mi pare che trasferire i migranti salvati in mare in Albania anziché al porto più vicino sia infliggere loro una sofferenza ulteriore. Inoltre mi sembra che l’Italia, anziché esigere solidarietà dall’Europa, chiede un favore a un Paese di fatto in via di sviluppo. Avrebbe mai domandato alla Germania di cedere la sovranità su un pezzo di suo territorio? Ecco, da albanese emigrata mi sembra un atto di arroganza.

Non le sembra anche un messaggio all’Unione Europea, del tipo: voi non ci aiutate, ci arrangiamo noi con un accordo con un Paese terzo?

Se fosse così, è un messaggio che comunque dimostra una certa debolezza. L’Unione Europea ha molte colpe, ha lasciato sola l’Italia in diversi frangenti. Però l’Italia è uno dei Paesi fondatori della Ue e dovrebbe recuperare forza contrattuale per pretendere il rispetto che merita.

E infine: è anche un messaggio per i giovani africani. L’Italia, insomma si allontana ancora di più?

Questa è pura utopia. A una persona che fugge da una condizione difficile non interessa la destinazione momentanea. Saprà che l’Albania è un posto di passaggio, così come accade ora con la rotta balcanica.

C’è il rischio di xenofobia in Albania?

Siamo un popolo che emigra, non siamo abituati all’immigrazione. Quindi sì, il rischio xenofobia esiste, perché la situazione economica è precaria, il lavoro è sottopagato, i giovani che hanno studiato vanno all’estero ed è indubbio che in Albania c’è un substrato di rabbia sociale.

A Pieve di Cadore c’è un Cas, un Centro di accoglienza. Com’è la convivenza con i 3.600 abitanti?

Il Cas è di responsabilità della prefettura in collaborazione con il Patriarcato di Venezia, proprietario della struttura, ed è gestito da una cooperativa di Padova. Noi siamo territorio ospitante, siamo coinvolti con i corsi di italiano e un po’ di animazione. Per il momento la convivenza con la popolazione va bene, ma siamo sempre sul chi va là. Se arriva una nuova ondata migratoria, il governo potrebbe chiederci uno sforzo maggiore, non compatibile con i magri bilanci comunali.

La sua famiglia è stata ben accolta in Cadore?

C’è stato qualche problema all’inizio, perché eravamo la novità del paese. Superata la fase dei pregiudizi, ci siamo integrati in modo molto naturale. È il pregio di vivere in un paese piccolo: ci si conosce tutti. E quello che si conosce non si teme. E poi c'è un'ultima cosa che vorrei sottolineare.

Prego.

Questo accordo con l'Albania a me sembra un grande esca mediatica, un'arma di distrazione di massa. Non sposta le sorti né dell'Italia né dell'Albania né dei migranti, è stato siglato in estate e guarda caso è stato fatto uscire ora che si stava iniziando a ragionare su pensioni e di tutto quello che deriva dalla nuova manovra. Ecco, non vorrei che questa fosse una mossa studiata a tavolino.

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