Giovani da tutto il mondo a Padova (Boato)
Ernesto Olivero, sul palco a ridosso della Basilica di Santa Giustina, parla tenendo in mano un foulard vermiglio. Solo alla fine lo mostra alle ragazze e ai ragazzi, un tappeto steso su Prato della Valle. E spiega: «Me l’ha regalato una mamma a cui hanno ucciso il figlio prete, don Peppe Diana». Se neppure una mamma odia, ma affida al popolo dei pacifici il suo drappo di sangue, dolore e speranza e invita ad amare nonostante tutto, come potrà l’odio prevalere?
Il quinto Appuntamento mondiale Giovani per la pace, ieri, è il più numeroso di sempre. Saranno sessantamila giunti da tutta Italia, dal Brasile, dalla Giordania, dalla Romania e dall’Albania. Soprattutto dal Veneto, con tanti gruppi parrocchiali. In rappresentanza dei vescovi triveneti ci sono il patriarca di Venezia Moraglia, Cipolla di Padova e Pizziol di Vicenza.
Tutti a farsi allegramente contagiare dalla pace. Non odia la mamma di don Diana ammazzato dalla camorra, non ha mai odiato neppure Rosaria Schifani, il cui marito Vito fu disintegrato a Capaci 25 anni fa: «L’odio dovrebbe far parte di me, ma non c’è, non c’è mai stato. Perché? Perché io non sono come loro». Loro, i mafiosi consacrati all’odio. «La mafia non mi ha piegato ed eccomi qui, più forte che mai». La sua forza vive nel figlio Emanuele, emozionatissimo sul palco dentro la sua divisa da tenente della Guardia di Finanza. Aveva pochi mesi quando gli ammazzarono il padre e ieri guardava il mare di giovani che guardavano lui e sorrideva appena.
"L’amore (r)esiste" ricordano le magliette dei ragazzi della pace. E altre fan loro eco: "Non voglio la pace solo per me". "Noi" è il pronome che scende sulla piazza quando compare la famiglia Calò di Treviso, "folle" nella sua idea di "adottare" giovani profughi fino a contare 12 figli, tutti uguali, bianchi e neri. "Noi" dicono i brasiliani dell’Arsenale della speranza di San Paolo: forniscono 1200 posti letto e pasti e corsi per dare un lavoro a chi non l’ha. "Noi" è il pronome del movimento "Ambasciatori di pace" di Blinisht, in Albania, fondato da un prete di Avezzano, don Antonio Sciarra, nel lontano 1991.
"Noi" sembrano ricordare i tanti amministratori, sindaci e consiglieri, che hanno voluto accompagnare i giovani dei loro paesi, come Piera Cescon di Vazzola (Treviso) o Alessandro Barbierato di Pontelongo (Padova), uno che si è appassionato al servizio, anche politico, ai campi all’Arsenale di Torino fin dal 2006: «sì, sono amico di Ernesto» (Olivero è chiamato sempre e solo per nome, il cognome è superfluo). Simone Taschin di Campolongo Maggiore (Venezia) ha 30 anni, è dell’Ac, e scuote il capo quando gli si ricorda la vulgata secondo cui i giovani non farebbero politica: «Invece ci siamo, e tanti». Forse basterebbe guardarli in faccia. C’è perfino il quattordicenne Ares Bagatin di Lendinara (Rovigo), "sindaco dei ragazzi", con il vicesindaco "dei grandi" Federico Amal, che di anni ne ha appena 35 e si è formato nel Movimento politico per l’Unità dei Focolari.
Tutti, assolutamente tutti costruiscono pace. I testimoni intanto sfilano sul palco. Giorgia Benusiglio è stata strappata alla morte e all’abisso in cui l’aveva cacciata la prima mezza pasticca di ecstasy, a 17 anni. Ci ha rimesso il fegato. Ma «io ho avuto una seconda possibilità, altri giovani no. E la mia vita insegna che anche l’evento più negativo può trasformarsi in dono». Giorgia gira per l’Italia incontrando i giovani; Sammy Basso, veneto di Tezze sul Brenta, uno dei pochi ammalati al mondo della rarissima progeria, che costringe bambini e giovani nel corpo di un vecchio, ha girato il mondo e quasi ringrazia la terribile malattia per l’opportunità meravigliosa avuta. Rimane Abdullahi Ahmed, giovane somalo con la sua storia di "restituzione" a Settimo Torinese: ha avuto tanto, tantissimo ha saputo ridare a chi lo ha accolto.
Sullo schermo compare il presidente Mattarella con il suo messaggio ai giovani di Ernesto. Matteo Spiguglia canta le canzoni scritte da Ernesto. Ed Ernesto, con il fazzoletto della mamma di don Diana in mano, saluta: «Mai uomini o donne di potere, ma sempre di Dio. Per esserlo, occorre dare tempo a Dio. Pregare». Il foulard ha un brivido sotto il cielo azzurrissimo.