domenica 7 giugno 2020
Grecia e Turchia non prestano soccorso ai gommoni. Anzi, i militari di Atene salgono a bordo e staccano il motore. Raccolto da Avvenire, il disperato appello di un 17enne afghano in viaggio da 4 mesi
Una foto del barcone lasciato alla deriva dalla Guardia costiera greca, senza motore. Alla richiesta d’aiuto dei migranti non ha risposto nessuno

Una foto del barcone lasciato alla deriva dalla Guardia costiera greca, senza motore. Alla richiesta d’aiuto dei migranti non ha risposto nessuno - Facebook

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Con un video di sei minuti, girato a bordo di un gommone alla deriva nel tratto di mare tra la costa turca e l’isola greca di Lesbo, giovedì mattina Adnan Ali (non il suo vero nome) chiedeva aiuto su Facebook. Diciassette anni appena, da quattro mesi in viaggio dall’Afghanistan, forse mai avrebbe pensato di trovarsi in una situazione tanto assurda e pericolosa a un passo dall’Europa. «Vi prego aiutateci, siamo senza motore, senza acqua né cibo», ripete più volte e tra una frase e l’altra si sente il vento soffiare. Più i minuti passano, più la voce sembra meno convinta, come dubitando che qualcuno sia in ascolto: «Ci sono bambini, salvateci. La Guardia Costiera turca è venuta e ci ha lasciati qui, anche quella greca è arrivata e ci ha abbandonati».

La richiesta di soccorso viene rilanciata in rete a Lesbo e in giro per l’Europa. Tutti ascoltano un’accusa gravissima, la stessa già sentita in tanti racconti che circolano sulle isole: alcuni elementi della Guardia Costiera greca avrebbero avvicinato il gommone, staccato il motore e lasciato l’imbarcazione alla deriva con le persone ancora a bordo.

Adnan Ali e altri 31 passeggeri, compresi bambini ben visibili nel video, restano in balia delle onde. Il tempo passa. I fotogrammi mostrano il gommone a poppa: manca il motore. Solo dopo quindici ore i passeggeri vengono messi in salvo dall’equipaggio tedesco di Frontex, presente nell’area. Per un intero giorno il ragazzo non è stato contattabile. Poi, ieri mattina, Avvenire è riuscito a parlare con lui. Racconta di aver lasciato la costa turca, attorno a Izmir, mercoledì alle 21. Attraverso questo braccio di mare, che dalla crisi migratoria del 2015 è uno dei più battuti da chi entra in Europa illegalmente, da inizio anno sono passate oltre 7.800 persone (9.900 gli arrivi totali in Grecia, con gli ingressi via terra).

«L’equipaggio era in uniforme, con la bandiera greca cucita sulla divisa», racconta il ragazzo. «Uno di loro è salito sul gommone, ci ha detto di mettere in tasca i telefoni. Non voleva essere ripreso. Ha staccato il nostro motore e lo ha lasciato sprofondare in acqua. Poi ci hanno lanciato una cima e ci hanno rimorchiato in acque territoriali turche».

A quel punto Adnan Ali parla di un «contrasto tra Guardie Costiere. Quella turca non voleva che tornassimo indietro così ha provocato ondate per spingerci verso l’isola greca. I greci hanno fatto lo stesso, in direzione opposta. Noi eravamo nel mezzo. Hanno rischiato di farci affondare, saremmo potuti morire».

Respingimenti collettivi come quello di cui parla il ragazzo vengono de- nunciati da mesi dalle Ong che operano nell’Egeo: il personale di Alarm Phone a maggio raccontava di come fosse stato contattato due volte «da persone in difficoltà dopo un attacco della Guardia Costiera greca e di uomini mascherati». Un’altra Ong, Refugee Rescue, parla di «orrore e indignazione per il modello di violenza in mare» a cui si è assistito questa settimana nel “rimpallo” di gommoni. La vicenda di Adnan Ali, infatti, non è stata la sola delle ultime ore: nemmeno il tempo di apprendere del salvataggio di giovedì che una nuova diretta Facebook è comparsa sul profilo di un gruppo di volontari venerdì mattina. Altro appello disperato, altre accuse alle autorità greche e la denuncia di danni al motore e al gommone: nel video si vede un grosso foro da cui esce aria. Un ragazzo ci infila la mano dentro per tapparlo, sperando che qualcuno arrivi prima che sia troppo tardi. Sarà così, per fortuna, anche questa volta.

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