Dopo la libertà arriva anche l'annullamento del provvedimento di sequestro delle aziende dei fratelli Antonio e Nicola Diana, simbolo della lotta alla camorra, arrestati il 15 gennaio con l'accusa di essere collusi col clan dei "casalesi", e in particolare col gruppo di Michele Zagaria. Meno di una settimana fa la Cassazione aveva accolto un primo ricorso annullando "senza rinvio" l'ordinanza di custodia cautelare che li ha tenuti agli arresti domiciliari per quattro mesi e mezzo. Ieri sera la Suprema Corte ha disposto che anche il sequestro delle 18 aziende dei due imprenditori, per oltre quattro mesi affidate ad un amministrazione giudiziario, non era supportato da valide prove documentali.
Una doppia decisione che conferma i forti dubbi su questa inchiesta che ha coinvolto imprenditori di successo nel settore dei rifiuti, imprenditori puliti, in un settore inquinatissimo dalla criminalità organizzata non solo in Campania, e impegnati sul fronte della legalità e della solidarietà sia con le proprie aziende che con la Fondazione intitolata al padre Mario, imprenditore di Casapesenna (il paese-feudo di Michele Zagaria), ucciso il 26 giugno 1985, vittima innocente della camorra, perché si era opposto agli affari del clan.
Ed è particolarmente significativo che a decidere siano stati magistrati diversi. Infatti nell'arco di sei giorni due diversi collegi della Sesta Sezione della Corte di Cassazione, hanno sentenziato che gli atti di accusa prodotti dalla Procura e poi avallati dal Tribunale di Napoli (Gip e Riesame) nei confronti dei fratelli Antonio e Nicola Diana, dello zio Armando e delle loro aziende, sono illegittimi. Giovedì scorso il collegio presieduto dal Stefano Petitti aveva annullato gli arresti domiciliari dei tre indagati disposti dal Gip, Maria Luisa Miranda, e confermati dal Tribunale del riesame.
Ieri sera il collegio presieduto da Giacomo Paoloni, ha accolto il ricorso contro il sequestro delle aziende, ma questa volta con rinvio, cioè rimandando gli atti al Tribunale del Riesame di Napoli che dovrà nuovamente esaminarli ed eventualmente rimotivare in modo più approfondito il sequestro. Ma anche alla luce della sentenza che ha rimesso in libertà gli imprenditori, senza rinvio, appare difficile che il Tribunale del riesame lo riconfermi.
Anche perché il sequestro era strettamente legato al provvedimento cautelare personale. Infatti secondo il Gip si era reso necessario perché i Diana avrebbero potuto continuare a commettere il reato, cioè a pagare il clan. Evidentemente per la Cassazione le prove raccolte sono insufficienti. Oltretutto la decisione presa dalla Corte ieri sera era stata chiesta anche dall'accusa, attraverso il sostituto procuratore generale, Elisabetta Cesqui. Le aziende, tra le quali Sri e Erreplast, leader in Italia nella selezioni dei materiali e nel riciclaggio della plastica, non vengono automaticamente dissequestrate ma non è escluso che nei prossimi giorni, ancor prima di una nuova decisione del Riesame, sia lo stesso Gip a "liberarle", proprio alla luce del doppio intervento della Cassazione. Aziende che in questi mesi, grazie all'impegno dei dipendenti, hanno migliorato i propri risultati a conferma della loro qualità e dell'estraneità a circuiti criminali.
L'esatto contrario di quanto sostenuto dai pm della Dda di Napoli, secondo i quali il successo delle aziende dei Diana era la diretta conseguenza della protezione del clan Zagaria. Un'accusa che si basava solo sulle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia, senza riscontri nè documentali nè di intercettazioni. Una tesi doppiamente bocciata dalla Cassazione.