Il segretario generale della Cisl, Luigi Sbarra - Ansa
Questa calda estate non è ancora finita e già l’autunno si prospetta torrido sul piano sociale. La Cgil ha preannunciato una consultazione tra i lavoratori per proclamare uno sciopero generale. Anche la Uil è già sul piede di guerra. La Cisl, invece, frena e con il segretario generale Luigi Sbarra gela i “bollenti spiriti” delle altre confederazioni.
Segretario, come si collocherà la Cisl in questa fase: parteciperà alla consultazione annunciata, è pronta allo sciopero generale?
I conti si fanno alla fine. Parlare oggi di sciopero generale su una manovra che ancora nessuno conosce è mettere il carro davanti ai buoi. Oggi abbiamo il dovere di negoziare avanzamenti ai tanti tavoli di confronto con il Governo, sui quali giudicheremo in autunno i risultati con intransigenza e senza fare sconti. Rispettiamo le scelte degli altri sindacati, ma noi della Cisl non ci intruppiamo in mobilitazioni annunciate da altri e continuiamo le nostre. A cominciare dalla mobilitazione avviata da due mesi in tutti i luoghi di lavoro e nel territorio per la campagna di raccolta firme sulla nostra proposta di legge di iniziativa popolare sulla partecipazione, su cui stiamo ricevendo significative adesioni dal mondo accademico, politico ed imprenditoriale. A settembre, partirà poi il percorso dal basso della nostra Assemblea organizzativa e daremo vita a una iniziativa con proposte concrete contro la precarietà e il lavoro povero.
Come valutate questa sorta di “avviso preventivo” di sciopero: più un’azione politica che sindacale? La Cgil di Landini sta preparandosi a fare opposizione al governo nelle piazze e nelle fabbriche?
L’opposizione politica bisogna lasciarla fare ai partiti. Il ruolo del sindacato, per come lo interpretiamo noi, è un altro e deve restare lontano da forme di radicalismo che ci condannerebbero all’isolamento e all’irrilevanza. Il nostro mestiere è quello di contrattare sempre per conquistare risultati per le persone che rappresentiamo, e dobbiamo farlo con gli interlocutori che ci sono non con quelli che vorremmo. Quando il filo del dialogo viene fatto cadere è in quel momento che bisogna alzare il livello del conflitto per far capire all’interlocutore che deve tornare sui suoi passi. Ma ora siamo in una fase diversa: le mobilitazioni di aprile e maggio hanno portato alla riapertura del confronto con il Governo e la Cisl è abituata a restare inchiodata ai tavoli con le sue proposte. Ne va della credibilità del sindacato e della tenuta delle relazioni sociali e industriali.
Il dialogo con il governo, però, non ha portato risultati...
Il bilancio si valuta alla fine di un percorso, non in mezzo al guado. E già oggi misuriamo alcuni primi risultati. In termini concreti, come si è visto in alcuni interventi del Decreto Lavoro, dall’innalzamento della detassazione sui Fringe benefit al taglio del cuneo contributivo, dal governo contrattuale dei contratti a tempo determinato ai nuovi fondi per la sicurezza dei ragazzi in alternanza scuola-lavoro, solo per fare alcuni esempi. Pensiamo siano importanti anche alcuni impegni presi ai tavoli di confronto su salute e sicurezza, politica industriale, automotive e futuro di Stellantis, finanziamento del Fondo sanitario nazionale e rinnovo dei contratti pubblici. È evidente poi che aspettiamo il Governo alla prova della Manovra per valutare i risultati e posizionare di conseguenza la nostra azione sindacale.
Quali sono i paletti su cui giudicherete la manovra di bilancio ed eventualmente deciderete forme di protesta?
Per noi sono prioritari la conferma strutturale della riduzione del cuneo contributivo, la detassazione a scaglioni delle tredicesime da lavoro e pensione proporzionata al reddito, l’azzeramento del prelievo sui frutti della contrattazione di secondo livello a partire dai premi di risultato e dal welfare negoziato. Servono risorse adeguate per rinnovare i contratti pubblici; è necessario incrementare il finanziamento della Sanità e dobbiamo investire di più nell’Istruzione. Va definita una previdenza più flessibile e socialmente sostenibile.
Intanto, 169mila famiglie hanno ricevuto per Sms l’avviso di decadenza del Rdc. Cosa ne pensate?
All’indomani del varo della riforma avevamo espresso le nostre proposte migliorative sull’Assegno di Inclusione: ora bisogna trovare margini nella Legge di bilancio per aumentare le risorse contro la marginalità, estendere la platea dei beneficiari, coinvolgere enti locali e servizi sociali in una presa in carico che non può essere solo monetizzata. La sfida centrale resta rafforzare le politiche attive del lavoro.
La Cisl è contraria all’introduzione di un salario minimo di legge, come ipotizzato dalle opposizioni. Ma cosa proponete per i salari in generale e il lavoro povero?
Bisogna costruire insieme alle parti sociali una politica dei redditi che passa da un alleggerimento del carico fiscale sui redditi da lavoro, da un controllo ferreo su prezzi e tariffe, dal rinnovo di tutti i contratti e la ridefinizione di meccanismi di riallineamento all’inflazione reale. Tassello importante di questo mosaico è anche un salario minimo di natura contrattuale, con un’azione finalizzata ad estendere i trattamenti economici complessivi dei contratti leader nei settori di riferimento, ai pochi segmenti non ancora coperti da contratti nazionali e a quelli colpiti da contrattazione pirata. L’Italia, com’è noto, ha CCNL che coprono circa il 98% dei segmenti produttivi. Introdurre in queste condizioni una salario orario legale determinerebbe l’uscita di migliaia di aziende dai contratti, la compressione delle retribuzioni medie e un aumento esponenziale del lavoro nero nella fascia dei salari deboli.
Ma questo rischia di non bastare per contrastare il lavoro povero...
Sì, una norma sul salario minimo, anche se buona e di natura contrattuale, non potrà mai risolvere da sola il problema dei lavoratori poveri. Pesano anche, se non soprattutto, il problema della quantità di ore lavorate, con moltissimi part time involontari, il lavoro nero e grigio, le vaste aree di sfruttamento nel parasubordinato, nei falsi stage, nelle cooperative spurie. Servono più ispezioni e controlli nei luoghi di lavoro per una stretta sullo sfruttamento, poi investimenti sull’occupazione stabile giovanile, sulla riqualificazione professionale e le politiche attive. Serve mettere davvero il lavoro al centro dello sviluppo e della coesione nazionale.