martedì 14 maggio 2024
La figlia di Ennio, fondatore del Gruppo bancario Mediolanum, si racconta: «La mia vera passione è la maternità». Il successo, «i piedi ben piantati per terra» e la forza della preghiera
Sara Doris: gestiamo 126 miliardi, ma il mio tesoro sono i cinque figli
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Sul braccialetto che a pranzo le ha regalato un’amica è incisa la frase che da tre generazioni guida la famiglia Doris: “C’è anche domani”. «È il mio compleanno, regalo più bello non potevo riceverlo!». Sara, figlia di Ennio Doris, il pioniere del risparmio gestito in Italia, l’uomo nato in povertà che creò la prima rete di consulenti globali e arrivò a fondare Banca Mediolanum, oggi è la vicepresidente di un Gruppo bancario che (dati del primo trimestre 2024) amministra un patrimonio di 126 miliardi di euro, vanta un utile netto di 221milioni e gestisce i risparmi di 1.839.700 clienti. Eppure ti spiazza: «Il ruolo in cui mi sento più realizzata è la maternità. Non avrei fatti cinque figli, altrimenti». Fisico da indossatrice, jeans e sorriso da ragazza, ci accoglie nel sontuoso palazzo storico di via Senato, nel cuore della City milanese. Si muove agilmente in quella reggia, esattamente come fossimo nella sua cucina: «L’umiltà è sempre stata la normalità in famiglia, la ricchezza non ha mai cambiato mio padre. Un giorno andò con mia madre Lina in Sicilia – gli impegni erano tanti e si spostava con l’aereo privato –, arrivati in aeroporto videro un comitato d’accoglienza e si chiesero “chissà che personalità stanno aspettando”. Non immaginavano che il dispiegamento di forze fosse per loro, questo la dice lunga sulla capacità di restare con i piedi ben attaccati per terra e di sorprendersi ancora, come nell’infanzia a Tombolo, paesino in provincia di Padova dove il sogno più grande di mio padre era diventare mediatore di bestiame con il nonno. Non andò così solo perché da bambino si ammalò gravemente. Tutto questo ti mantiene umile, se sei intelligente».


Oggi lei e suo fratello Massimo siete alla guida di un impero…

Mediolanum è presente in Italia, Spagna, Irlanda e si regge su 10mila persone, tra “family banker” (i consulenti finanziari “su misura” per le famiglie, figure rivoluzionarie create da suo padre con il celebre modello di “banca costruita intorno a te”) e dipendenti nelle sedi di Milano, Barcellona e Dublino. La scintilla iniziale è stata un’idea di Ennio: era un 18enne al suo primo impiego da ragioniere in Banca Antoniana, ma a Tombolo erano tutti allevatori e mediatori di bestiame, quindi gli orari delle banche non erano adatti alle loro esigenze, così papà la sera dopo l’orario d’ufficio andava di casa in casa a incontrare i clienti. Non veniva pagato per gli straordinari, a spingerlo era proprio il piacere di fare bene il proprio lavoro. A un certo punto decise di fare il salto e diventare consulente finanziario (i fondi di investimento erano la nuova frontiera) lasciando il famoso “posto fisso”, ai nonni raccontò di avere uno stipendio invece era pagato a provvigioni. L’idea geniale che rivoluzionerà il mondo degli investimenti e della banca gli venne una sera che era andato a casa di un falegname suo cliente: questi gli affidò tutto ciò che aveva, 10 milioni di lire (si era negli anni ’70) e, guardando mio padre negli occhi, gli disse “io ti sto dando tutta una vita di lavoro, la mia famiglia non vive se io non porto a casa i soldi, se saprai investirli bene, in futuro potrò permettermi il lusso di ammalarmi”. Fondamentalmente aveva bisogno di una polizza assicurativa di infortunio e malattia, oltre all’investimento dei risparmi, e papà lì immaginò di abbattere la divisione tra banca, assicurazione e società di intermediazione immobiliare, “il cliente deve avere un consulente unico che si occupi di tutte le sue necessità”, pensò Ennio. Quella fatidica sera dal falegname si rese conto che non voleva avere successo perché bravo a vendere, ma perché utile agli altri. Nel 1997 diventiamo banca e papà realizza quella consulenza globale che si era inventato non chiedendosi “come posso diventare più ricco” ma “come posso essere più utile alle persone”. Guarda quanto è importante nella vita farsi la domanda giusta, perché se ti poni quella sbagliata perdi anni di vita a inseguire obiettivi che non sono fertili. Pensi che se ha studiato ragioneria è solo perché una grave nefrite lo costrinse a letto per un anno e i medici gli vietarono di seguire il padre nei mercati del bestiame. A quel punto frequentò le medie e, siccome a scuola era molto bravo, anche ragioneria. Papà diceva che le doti che hai ti vengono date in culla, non sono merito tuo, per questo era sempre alla ricerca di poter restituire ciò che gli era stato donato, a partire dalla famiglia d'origine: nella grande “casa degli scricchiolii e degli spifferi”, com’era chiamata a Tombolo, tra zii e cugini sono sempre vissuti insieme in tanta allegria, nel poco si condivideva ciò che c’era.

Con il padre Ennio Doris

Con il padre Ennio Doris - Archivio Doris


Lei è cresciuta nel mito di suo padre. Ma chi è Sara?

Una persona molto fortunata, non nel senso che si potrebbe facilmente intuire, ma partendo da due capisaldi. Prima di tutto da ciò che nella mia vita è diventato centrale soprattutto negli ultimi anni, e cioè la fede, da quando mio padre è scomparso la sperimento con ancor più intensità. L’altra fortuna è di essermi sempre sentita amata dalla mia famiglia, e voluta, e apprezzata, e stimata. Nascere in questa condizione, che tu sia ricco o povero, ti dà una risorsa di solidità cui attingere quando sei in difficoltà. Quando papà è mancato, nel 2021, ciò che ho sperimentato non è stato il dolore della disperazione, ma un amore nuovo, come se lo avessi salutato nella materia ma non nello spirito, che non scompare. Io sono tuttora amata come prima, da mio padre e anche da Ennio, perché stimata in quanto figlia ma anche in quanto persona. Forse mi ha aiutata anche il fatto che durante l’ultimo anno, quello faticoso delle terapie e della leucemia acuta, ero molto presente non per dovere ma con il senso dolce del darsi. Per di più, in quel periodo io stavo attraversando un momento particolare e chi mi dava forza era lui, lottava per la vita e intanto dava coraggio a me per i miei problemi.

Si può veramente conciliare l’alta finanza con la fede? I due mondi possono convivere?

Sì, anche perché io credo in una fede molto concreta, non intellettuale. La domanda è: nel lavoro, con le persone, in ogni ambito tu come agisci? Quella è la tua fede, si deve vedere, non la devi raccontare. Quindi per me anche la finanza è un mettere a terra quei valori che ti arrivano dalla coerenza con la tua fede.

Tutti cerchiamo il senso della vita, lei che risposta si è data?

Sono certa che il senso della vita sia amare, perché alla fine puoi fare le cose più belle e incredibili ma se sei solo, se non hai nessuno con cui condividere, che senso ha? Amare è accogliere ciò che la vita ti offre ma anche ciò che la vita ti chiede e farlo con impegno. Da ragazza la domanda che mi ponevo era “che cosa voglio dalla vita?”, oggi mi chiedo quotidianamente “che cosa la vita vuole da me?”. Perché ciò che vuole da me credo sia esattamente quello che io posso dare.

Come vede la donna in un periodo storico di grandi contrasti e di omologazioni maschio-femmina, in cui si pensa che uno schwa o un asterisco facciano le rivoluzioni?

Oggi che grazie al Cielo il concetto di donna al servizio dell’uomo è superata, la diversità è un valore e va preservato. Che siamo diversi è evidente, ad esempio gli uomini negli sport hanno prestazioni migliori perché fisicamente più dotati, ma la donna vive più a lungo perché ha una resistenza maggiore, anche di fronte alle disgrazie noi siamo più forti. Penso che, in quanto potenziali madri, la natura dia a noi donne una speciale capacità di essere attente all’altro, l’accudimento è una nostra predisposizione naturale e non solo verso i figli. Il ruolo di madre del focolare domestico a me è sempre piaciuto, come mi è piaciuto da ragazza che mia mamma fosse presente, mi ha gratificato seguire i miei figli da vicino nello studio e in tutte le loro cose, non lo vivo come mortificazione ma come intenso piacere. È chiaro che io, nella mia posizione privilegiata, con tutti e cinque i figli mi potevo permettere di lavorare part time... Aggiungo che noi donne, anche quando ci conosciamo appena, abbiamo più coraggio degli uomini nell’aprirci, ci raccontiamo tra noi, e nel momento in cui ti racconti sei tu per prima che ti stai ascoltando, dando così un ordine e una comprensione ai tuoi problemi. Per questo amo riservarmi angoli tutti nostri con le amiche di sempre, quelle di Tombolo, con cui parliamo in dialetto veneto.

Ma se dovesse per forza scegliere un solo ruolo tra i tanti della sua vita?

La maternità. Non avrei fatto cinque figli, altrimenti, crescere vite altrui è una bellissima impresa.

Altrui?

Le vite sono loro, tu puoi aiutare e fare da modello, e questo ti aiuta anche a essere coerente con te stesso. Alle volte potresti anche dimenticare per una volta i tuoi valori, ma sai che i figli ti guardano ed è una grande responsabilità. Io applico questo ruolo “materno” in tutti gli ambiti della mia vita, non c’è una divisione tra come sono a casa e come sono in ufficio, anche il mio approccio con le persone di Mediolanum è lo stesso, mi piace sapere che possono contare su di me come d’altronde io su di loro, e la fiducia diventa un impegno, ma un impegno bello, dove ognuno dei due cerca di rispondere alle richieste della vita nel migliore dei modi.

Sara Doris tra i genitori e i cinque figli

Sara Doris tra i genitori e i cinque figli - Archivio Doris


Chi cresce con poco, più facilmente sarà persona umile e di buon senso. Spesso i rampolli delle famiglie ricche crescono senza sacrifici. È dura tenere i suoi figli con i piedi per terra, specie in un mondo in cui l’effimero sembra essenziale?

Io penso che si educhi con l’esempio, conta più quello che ti vedono fare, che quello che racconti. Certamente i nostri figli, miei e di mio fratello, sono cresciuti in un ambiente dove c’è tanta abbondanza, ma in famiglia hanno sempre visto grandi lavoratori, non adulti che erano in giro a far nulla e a spassarsela. Oggi Sara Viola e Aqua, di 22 e 24 anni, vivono a Londra e studiano psicologia, Lunachiara, 26 anni, ha studiato Business e Management a Londra e Madrid, Agnese, 16 anni, è alle superiori e vorrebbe fare fashion design, Davide, 14, ancora non sa… Abbiamo un bel rapporto, quando vado a Londra le mie figlie sono felici se esco con le loro amiche, mi trovo molto bene con loro, e loro stanno bene con le mie amiche, perché alla fine si cercano sempre persone che sono simili a noi.

Dice anche dei no ai suoi figli?

Rispetto ad altri standard hanno di più, è ovvio, ma li abituo assolutamente come in una famiglia che non può permettersi tutto. Soddisfare ogni desiderio genera la noia, invece il desiderio è una cosa bellissima, l’attesa stimola i pensieri e la creatività. È vero che a volte la ricchezza fa tanto male e spesso i figli dei ricchi sono degli infelici, è facile nel mondo d’oggi essere attratti da mille luci fatue, però se a casa respiri un clima che dà valore alle cose e non le dà per scontate, in primis le persone, ce la puoi fare. La cosa importante secondo me è essere presenti e dare l’esempio nei fatti: i nostri ragazzi hanno sempre visto mio padre e mia madre che tutti i fine settimana tornavano a Tombolo e lì mio papà giocava a carte con i suoi amici, che erano quelli di sempre, se li portava anche negli Stati Uniti. Vedere il nonno che sull’aereo privato non porta i vip ma gli amici veri, dell’osteria, ti insegna molto. Così come ha un potente valore educativo vedere che il nonno non si è mai lamentato di nulla, anzi ha sempre detto “grazie alla povertà e alla malattia ho potuto studiare ragioneria”: quando ti accade qualcosa non piangerti addosso, da un male nascerà un bene.

Lei ci riesce? Di fronte al dolore, se ne ricorda?

Sì, grazie alla fede. La preghiera è la mia prima azione al mattino, mentre mi preparo ascolto in una chat il Vangelo del giorno, sono piccole abitudini che, anche nelle giornate in cui sei stanca o distratta, ti mettono nella disposizione di dire “ok, c’è la terra ma sopra c’è anche il Cielo, alziamo lo sguardo”. Il che non ti toglie la sofferenza, perché se stai soffrendo soffri, punto, però accogli il dolore in maniera diversa, riesci a darti una visione di futuro. Poi ci ricaschi, te lo devi ripetere tutti i giorni che “c’è anche domani”, ma se sai chiedere aiuto non resti mai solo. Fondamentali sono gli incontri di preghiera con i miei “padri” spirituali, Chiara Amirante e don Davide Banzato, e l’avere una famiglia unita mi ha sempre dato la forza di resistere. Mia madre è vissuta in simbiosi con mio padre eppure, quando la sua figura è venuta a mancare, lei grazie alla fede è rimasta una leonessa, dice che la vita le ha dato un marito che l’ha amata tanto, due figli di cui è contenta, un’esistenza appagante, quindi non può chiedere di più. Oggi a 76 anni viene alle convention Mediolanum, i family banker la vedono come alter ego di Ennio e lei in loro vede papà. E poi ho mio fratello Massimo, l’altro pezzo della famiglia che il giorno in cui, se le cose andranno secondo natura, mia mamma non ci sarà più, continuerà a sostenermi e accogliermi come ha fatto da quando eravamo piccoli. Tra noi c’è un legame così profondo che nulla potrà mai minarlo.

Con il fratello Massimo, Ad di Banca Mediolanum

Con il fratello Massimo, Ad di Banca Mediolanum - Archivio Doris


Lei è anche presidente della Fondazione Mediolanum e della Fondazione Ennio Doris. La solidarietà si tace o si dice?

Si racconta, perché è testimonianza. Per me nasce da un modo di essere che ho assorbito in casa. A Tombolo una mia compagna delle elementari era venuta dalla Svizzera a metà anno, e tutti i giorni mia nonna Agnese mi mandava a chiederle se avesse bisogno di aiuto. Questo è un esempio di solidarietà nella tua quotidianità, per quello che tu puoi fare. In paese l’attenzione di tutti era esserci quando qualcuno ha bisogno: è la mentalità di chi ha poco, dove ognuno soffre delle mancanze ci si dà tutti una mano. Mio papà è rimasto generosissimo anche da ricco, nei fine settimana a Tombolo aveva la processione di persone che andavano da lui per ogni cosa, dai consigli matrimoniali, ai pareri professionali, ai problemi con i figli, ai debiti… non l’ho mai visto sbuffare o allontanare qualcuno. Per questo nel 2001 è nata Fondazione Mediolanum a favore di progetti per l’infanzia, che coinvolge tutta la community Mediolanum: la banca, i family banker e i clienti. Loro individuano le associazioni meritevoli di essere sostenute e presentano i progetti, noi ci facciamo dare gli ultimi tre bilanci delle associazioni e controlliamo che tutto sia in regola, a quel punto i family banker organizzano un evento di raccolta fondi con tutti i clienti, e alla fine la banca raddoppia quanto loro hanno raccolto. È un esempio di solidarietà in cui ognuno mette il suo. Nel 2023 abbiamo raccolto così 10 milioni di euro, di cui 2 dati dalla banca e 8 dalle raccolte. Un’altra modalità è questa: con i punti accumulati, i clienti ricevono un regalo dal catalogo fedeltà, ma possono anche devolvere la cifra equivalente in un progetto per l’infanzia indicato dalla banca. In questo modo abbiamo assegnato 90mila euro all’associazione “Golfini Rossi” nel monastero benedettino di Mwimwa, in Tanzania. Infine la Fondazione Ennio Doris: poiché mio padre aveva potuto studiare solo grazie alla generosità di uno zio “ricco”, che gli aveva anche ceduto il suo abito e la nonna lo aveva rigirato per nascondere l’usura, noi abbiamo fatto accordi con Università Cattolica, Politecnico e Università di Padova per dare borse di studio triennali a studenti meritevoli ma in difficoltà. Io amo andare personalmente nelle missioni che ricevono i nostri aiuti, sono stata ad Haiti, in Cambogia, in Nicaragua, in Perù, in Kenya e di recente in Tanzania con “Golfini rossi”, donare è importante ma anche esserci, stare in mezzo a bambini che non avrebbero nulla se eroici missionari non si occupassero di loro.

Sara Doris in missione in Africa

Sara Doris in missione in Africa - Archivio Doris


All’estero noi italiani siamo ancora visti come il popolo della cultura. Ce lo meritiamo?

Penso che dovremmo essere meno esterofili e valorizzare meglio i nostri talenti, invece la politica resta concentrata nelle battaglie ideologiche, un partito è contro l’altro, anziché remare compatti perché la vera competizione è la fuori, nel mondo. Noi italiani abbiamo delle qualità distintive, la creatività, l’armonia, il gusto del bello non li impari sui libri, li vivi. Gli artisti del Rinascimento crescevano non a caso in Toscana, attorno a sé vedevano la bellezza assoluta, ma tutta Italia è ricca di genio. A questo si aggiunge la nostra capacità di arrangiarci, nata dal fatto che siamo sempre stati dominati e abbiamo dovuto sopravvivere tirando fuori il nostro meglio. Il mio orgoglio di essere italiana è grande, se le mie figlie studiano all’estero nonostante le ottime università italiane è solo per conoscere il mondo e ampliare lo sguardo.

A ottobre lei ha scritto la biografia “Ennio mio padre” e ora è uscito il film “C’è anche domani”. Qualcuno ha scritto che è tutto “troppo bello per essere vero”.

Ma era esattamente così. Il problema è che non siamo più abituati a storie tanto positive, quella serenità era un modo di essere, non di mio padre ma del luogo e delle persone tra cui è cresciuto, si stava uniti contro le avversità, ci si voleva bene. Il film è uscito l’8 aprile e lo abbiamo dato alle sale cinematografiche per tre giorni: in tutti e tre è stato il film più visto. Ora i family banker lo stanno prenotando per serate in cui inviteranno i clienti, un modo per raccontare chi siamo e trasmettere cos’è che ci guida: i prodotti li puoi copiare, qualsiasi altro istituto oggi può offrire esattamente lo stesso servizio, ma ciò che ci muove è quel pensiero originale di Ennio, “io non voglio aver successo perché sono più bravo a vendere, io voglio aver successo perché sono più utile”, c’è una filosofia fondante.

“C’è ancora domani” è il film di Paola Cortellesi, “C’è anche domani” è il vostro…

È stato un caso, il titolo è quello del libro con cui mio padre nel 2014 scrisse la sua storia, raccontando la decisione di rimborsare personalmente tutti gli investitori nel 2008, quando la banca americana Lehman Brothers fallì facendo deflagrare la più grave crisi finanziaria mondiale dal 1929. Non spettava a lui, ma quel falegname di decenni prima gli continuava a “parlare” nel cuore, lui ci aveva messo la faccia e tutti i clienti furono rimborsati. Un’operazione “folle” ma Ennio la considerò il miglior investimento della sua vita, perché la fiducia non si può tradire. Aveva ragione lui, la risposta fu incredibile. La sceneggiatura del nostro film è tratta proprio da quel libro e fin dai primi ciak ha avuto quel titolo. Quando è uscita la Cortellesi ci è venuto un colpo, abbiamo anche pensato di cambiarlo, ma non era proprio possibile perché era il motto della famiglia fin dal 1953… Quell’anno Fausto Coppi, di cui mio padre 13enne era tifosissimo, in una tappa di montagna del Giro d’Italia fu battuto dallo svizzero Koblet. Coppi si dichiarò “felice di essere arrivato secondo dietro un grande campione”, mentre per papà era una sconfitta cocente, le parole di Coppi lo deludevano, allora il nonno tornando dal bar in cui avevano ascoltato la tappa lo prese per mano e gli disse “Ennio, vardame mi, ricòrdate che ghe xe anca doman”. Infatti il giorno successivo Coppi sullo Stelvio vinse la tappa e poi vincerà il Giro.

Lei ha visto il film della Cortellesi?

Sì e mi è piaciuto molto. Specie per quel finale a sorpresa, quando tutto ti fa pensare che la protagonista finalmente abbia deciso di andarsene e lasciare il marito che la maltratta, invece scopri che andava a votare, era il 1946 e per la prima volta il seggio era aperto alle donne. Solo che quella domenica è morto suo suocero e lei non è riuscita a votare. Poi all’ultimo le viene in mente che “c’è ancora domani”, evidentemente si votava anche di lunedì… È lo stesso senso del nostro motto, c’è sempre un’altra opportunità. Che sia il giorno dopo come per Coppi o più in là nella vita, fino all’ultimo giorno.

Nella missione di Mwimwa, in Tanzania, presso il monastero benedettino con l'associazione 'Golfini Rossi'

Nella missione di Mwimwa, in Tanzania, presso il monastero benedettino con l'associazione "Golfini Rossi" - Archivio Doris

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