Ansa
L’aumento dei fondi alla sanità – essenziale in un paese al 16° posto in Europa per spesa sanitaria – è stato «imposto dalla pandemia», ma allo stesso tempo «eroso» da questa: dal 2020 ad oggi è passato da 113,8 a 124,9 miliardi, un aumento di ben 11,2 miliardi, di cui 5,3 assegnati con decreti Covid-19. «Le risorse sono state interamente assorbite dalla pandemia e nel 2022 diverse Regioni rischiano di chiudere con i conti in rosso».
A evidenziarlo è il 5° rapporto della Fondazione Gimbe sul Servizio sanitario nazionale. Uno studio che mette anche in guardia sui rischi del regionalismo differenziato.
La pandemia comunque presenta il conto dei suoi effetti a medio e lungo termine, che si vanno ad aggiungere ai problemi che pesavano sulla sanità pubblica in era pre-Covid e che sono rimasti irrisolti: liste d’attesa lunghissime per visite, esami, operazioni chirurgiche e screening; ma anche nuovi bisogni di salute, dettati dagli effetti del long-Covid e dalle ricadute della pandemia sulla salute mentale. E, soprattutto, l’ulteriore indebolimento del personale sanitario: «Pensionamenti anticipati, burnout e demotivazione, licenziamenti volontari e fuga verso il privato lasciano sempre più scoperti settori chiave, specie i Pronto soccorso».
«Considerato che gli investimenti per nuovi specialisti e medici di famiglia – spiega il presidente Nino Cartabellotta – daranno i loro frutti non prima di 5 e 3 anni, il nodo del personale richiede soluzioni straordinarie in tempi brevi».
E se la stagione dei tagli alla sanità può ritenersi conclusa, per Cartabellotta «è evidente che il rilancio del finanziamento pubblico è stato imposto dall’emergenza pandemica e non dalla volontà politica».
L’Italia di certo spende poco in sanità. Sia nel confronto con l’Europa che, ancora di più, con i paesi del G7. Nel 2021 la spesa pubblica pro-capite per la sanità nel nostro Paese è ben al di sotto della media in Europa. Con 3.052 dollari per cittadino rispetto a 3.488 della media dei paesi Ocse siamo al 16° posto.
Impietoso poi il confronto con i paesi del G7: dal 2008 siamo fanalino di coda con differenze sempre più ampie . Una tendenza confermata dalle previsioni del Def 2022 e della NaDEF 2022 che nel triennio 2023-2025 prevedono una riduzione della spesa sanitaria media dell’1,13% per anno e un rapporto spesa sanitaria/pil che nel 2025 precipita al 6,1%, «ben al di sotto dei livelli pre-pandemia».
«Se nel pieno dell’emergenza – sottolinea Cartabellotta – tutte le forze politiche convergevano sulla necessità di potenziare la sanità, ora questa è di nuovo messa all’angolo. In vista del nuovo governo c’è urgente necessità di rimettere la salute al centro dall’agenda, pilastro della democrazia».
Ma per Gimbe ci sono altri due motivi di preoccupazione. A quasi sei anni dalla loro introduzione, molte delle prestazioni previste dai Lea, i Livelli essenziali di assistenza, non sono ancora un diritto per moltissimi cittadini, perché il Decreto Tariffe non è mai stato approvato.
E una nuova minaccia rischia di rendere le cure minime garantite ancor meno uguali tra le diverse regioni, ed è l’autonomia amministrativa. Gimbe invita il nuovo Esecutivo «a maneggiare con cura il regionalismo differenziato in sanità perché l’attuazione tout court delle maggiori autonomie richieste non potrà che esasperare le diseguaglianze regionali, ampliando il divario tra Nord e Sud del Paese».
Quanto ai numeri di giornata del Covid, ieri si sono registrati 65.925 nuovi contagi e 80 vittime, col tasso di positività al del 19,8%. Negli ospedali, sono 224 i ricoverati in terapia intensiva (ieri 216), ovvero 8 in più, mentre i ricoverati nei reparti ordinari sono 6.259, cioè 272 in più.