L’eredità dei governi Renzi Gentiloni: un peso da cancellare, come proclamato in campagna elettorale? O un lascito con cui fare i conti in un serrato confronto, salvaguardandone alcuni aspetti e rigettandone altri? Il percorso a volte tortuoso dei provvedimenti pentastellati che vanno nel solco di quelli assunti dai predecessori sembrano far propendere per la seconda ipotesi.
M5s, dopo aver tuonato contro il Jobs Act, ne ha confermato due assi portanti: gli incentivi alle assunzioni a tempo indeterminato di under 35 (sia pure nella versione più soft prevista da Gentiloni rispetto a quella più onerosa messa in campo dal premier fiorentino) e l’abolizione dell’articolo 18. È stato respinto, infatti, con i voti della maggioranza l’emendamento di Leu che mirava a reintrodurlo.
Stesso discorso per il cosiddetto bonus cultura che nella scorsa legislatura e in campagna elettorale era stato definito dal M5s un «provvedimento spot». Lo stesso ministro dei Beni culturali, Alberto Bonisoli, aveva dichiarato in giugno che sarebbe stato «meglio far venire la fame di cultura ai giovani, facendoli rinunciare a un paio di scarpe». Solo un mese dopo il ministro ha annunciato che non solo il bonus da 500 euro - fruibili per via digitale con l’App18 - non sarà cancellato, ma dal 2020 la misura diventerà strutturale. Sia pure con delle modifiche e addirittura un allargamento della platea ad altre fasce d’età.
Sempre in ambito di politica culturale il ministro Bonisoli ha annunciato che dopo l’estate saranno eliminate le domeniche gratuite nei musei, introdotte dal predecessore al Mibact Dario Franceschini. «Andavano bene come lancio pubblicitario - ha spiegato - ma se continuiamo così, a mio avviso andiamo in una direzione che non piace a nessuno ». Intanto per questa stagione non cambia nulla. E in seguito nessun automatismo. «Lascerò maggiore libertà ai direttori, se vogliono mettere una domenica gratuita non c’è niente di male ». Insomma è «l’obbligo a farla» che «non va bene».
Il capitolo che più sta infiammando il dibattito in queste settimane è, poi, quello dei vaccini. Anche qui il 'tira e molla' con il passato è continuo. Anche strizzando l’occhio alla parte di elettorato 'no vax' - che alberga soprattutto nel M5s - è stato messo in discussione l’obbligo di presentare la certificazione di avvenuta vaccinazione previsto dal decreto firmato dal ministro della Salute Beatrice Lorenzin. Più volte Di Maio e Salvini hanno messo le mani avanti: non siamo antivaccinisti, ma non bisogna obbligare i genitori a far immunizzare i figli e nemmeno escludere i bimbi non vaccinati dalle scuole. Sul delicato crinale del bilanciamento tra diritto alla salute e diritto all’istruzione si sono avute diverse prese di posizione del mondo scientifico e di quello politico. Fino ad arrivare al caos di questi giorni, dovuto al combinato disposto tra una circolare dei ministri Grillo (Salute) e Bussetti (Istruzione) che prevede la sola presentazione di un’autocertificazione - e un emendamento al decreto Milleproroghe che sposta la sanzione dell’esclusione dalle classi al prossimo anno scolastico (provvedimento che entrerà in vigore però solo quando quello imminente sarà iniziato).
Ultimo capitolo, quello appena consumatosi in Aula in sede di votazione del Milleproroghe, dove è stata congelata la seconda tranche di investimenti, previsti sempre dal duo Renzi-Gentiloni, per le periferie di 96 città ed aree metropolitane. Atto che ha suscitato l’ira dei sindaci interessati. «Non abbiamo bloccato i fondi, il nostro emendamento è a tal punto di buon senso, e rispetta una sentenza della Corte Costituzionale, che anche le opposizioni lo hanno votato», afferma Di Maio. Il Pd, che in effetti ha detto «sì» all’emendamento e lamenta di essere stato attirato in trappola, reagisce con Michele Anzaldi: «Si inventano la bufala della Corte costituzionale per giustificare un vergognoso scippo. È il solito tentativo di rigirare la frittata».