Agenzia Romano Siciliani
Ahmed ricorda suo cugino Osama, di 25 anni, e Shawq Muhammad, di 22 anni. Sono i giovani siriani, annegati insieme a Moshin, Abdul e Sami, pakistani, la notte tra il 13 e il 14 giugno 2023 davanti a Kalamata, in Grecia, a causa del capovolgimento del barcone dopo un viaggio iniziato a Tobruk, in Libia. Sono alcune delle 24mila persone che dal 2015 ad oggi, di cui 3.170 solo negli ultimi 12 mesi, hanno perso la vita nel Mediterraneo, nel tentativo di raggiungere il nostro continente. A loro, «i sommersi», va il pensiero dei «sopravvissuti» nella
veglia di preghiera “Morire di Speranza
”
. Un incontro organizzato ieri pomeriggio, in occasione della Giornata mondiale del rifugiato appena trascorsa, dalla
Comunità di Sant’Egidio
insieme alle altre associazioni impegnate nell’accoglienza e nell’integrazione delle persone fuggite da guerre o da situazioni insostenibili nei loro Paesi (
Centro Astalli, Caritas italiana, Fondazione Migrantes, Federazione chiese evangeliche in Italia, Scalabrini migration international network, Acli, associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, Acse
).
Il messaggio che arriva forte e chiaro dalla gremita basilica di Santa Maria in Trastevere è che non si può più morire di speranza e rimanere inermi davanti a questa ingiustizia. Chi muore di speranza, infatti, «ci chiede di cercare in fretta perché non accada lo stesso ad altri, per trovare risposte possibili, degne di tanta nostra storia, consapevoli del futuro, della grandezza del nostro continente e della nostra patria». Il presidente delle Cei, cardinale Matteo Zuppi, più volte fa riferimento alla necessità, attraverso la «perseveranza, un amore che sente lo scandalo e la vergogna per tanta enorme sofferenza», di scegliere finalmente «un sistema di protezione e di accoglienza sicuro per tutti, un sistema legale perché solo con la legalità si combatte l’illegalità, cioè il criminale lucro di persone». E l’Europa, aggiunge l’arcivescovo di Bologna, «deve garantire i diritti che detiene, garantendo flussi che siano corridoi umanitari e corridoi di lavoro, corridoi universitari, ricongiungimenti familiari che garantiscono futuro e stabilità, l’adozione di persone che cercano solo qualcuno che dia fiducia e opportunità». Senza dimenticare di non mettere mai in discussione, prosegue, «l’umanissima e responsabile legge del mare, regola di umanità per cui chiunque stia in pericolo sia salvato e custodito. È in pericolo. Si salva».
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Nella piazza adiacente la basilica due maxischermi per pregare insieme a quanti, dentro la chiesa, hanno perso nella traversata amici, genitori, figli. Fare memoria, con una candela che si accende accanto all’altare al pronunciare il loro nome, tra gli altri dei 98 passeggeri partiti dalla Turchia e annegati a febbraio a largo delle coste di Cutro o dei 180 profughi inghiottiti intorno alle coste italiane nell’ultimo anno. Loro i sommersi, noi «i salvati che vogliamo salvare, perché nessuno sia sommerso, per restituire la grazia e perché capiamo come la sicurezza, la pace, il benessere non è perduto se accogliamo – sottolinea il cardinale Zuppi - ma si perde quando lo teniamo per noi, non facciamo agli altri quello che altri hanno fatto a noi». Nella croce, infatti, ritroviamo le mani di quanti, fratelli e sorelle, hanno perso la vita in mezzo al mare, perché in un sussulto di coscienza si possa aprire i cuori all’accoglienza. «l’Italia, l’Europa ritrova sé stessa grazie all’accoglienza», dice ancora il presidente dei vescovi, ricordando che «i falsi profeti ingannano facendoci credere sicuri mentre siamo solo più esposti e meno umani. I falsi idoli riempiono di furore le nostre giornate e svuotano i cuori di amore». Da qui l’invito «ad essere perseveranti, cioè a non smettere di amare», non dimenticando i volti di morti e dispersi nel Mediterranno, oltre 65mila dal 1990. Citando poi le parole con cui papa Francesco solleva la preoccupazione di garantire la libertà di migrare o restare, il cardinale Zuppi invoca lo Spirito Santo «perché possiamo manifestare la Tua tenerezza ad ogni migrante che poni sul nostro cammino e diffondere la cultura dell’incontro e della cura».