Il campo rom comunale di Castel Romano (foto Stefano Sbrulli)
Buone intenzioni, risultati fallimentari. Nel metodo, prima che nel merito. È l'analisi che emerge dal dettagliato rapporto Dove restano le briciole redatto dall'Associazione 21 luglio, che passa "ai raggi X" il Piano Rom presentato in pompa magna a maggio 2017 dalla sindaca di Roma Virginia Raggi: una serie di obiettivi ambiziosi e condivisibili, fissati però senza consultare le organizzazioni che da anni si occupano di rom e conoscono la realtà del problema. A due anni e mezzo di distanza, i numeri registrano l'aumento di 800 persone nei campi informali, espulse dai campi comunali; il ricorso sistematico agli sgomberi forzati in continuità con le giunte Veltroni e Alemanno, ben 104, costati 3,3 milioni e senza alternative efficaci; il crollo della scolarizzazione dei bambini, calata del 56%. Risultati prossimi allo zero, dunque, costati cifre esorbitanti: oltre ai 3,8 milioni europei del fondo Pon Metro - intercettati dalla Giunta Marino nel 2014 - usati dal Campidoglio per le azioni di superamento di due campi (Monachina e La Barbuta), la giunta pentastellata ha dichiarato di avere speso dal 2017 al 2019 oltre 6 milioni di euro l'anno di fondi comunali. Una stima molto per difetto, secondo il dossier, perché in base ai documenti ufficiali Roma Capitale ha speso per i rom 10 milioni l'anno. Riuscendo a peggiorare una situazione già drammatica.
Era il 17 maggio 2017 quando la sindaca convocava i mass media in Campidoglio. «Possiamo annunciare in maniera molto netta - diceva allora Virginia Raggi - che finalmente a Roma saranno superati i Campi Rom. Abbiamo approvato un Piano che consente di riportare Roma in Europa, abbiamo appreso le migliori prassi e le portiamo a Roma. Capite che siamo visibilmente soddisfatti». Stessi toni usati sul suo blog dal leader del M5s Beppe Grillo: «Applausi per Virginia Raggi e l'amministrazione 5 Stelle di Roma. Per la prima volta chi governa la capitale non pensa a come lucrare sulla pelle degli altri e a danno dei cittadini, ma a come risolvere i problemi. Quella dei campi rom - diceva Grillo - era una questione che nessuno aveva mai chiuso, ma sulla quale tanti (troppi) hanno magnato. Da adesso si inizia a chiuderli, per sempre. E i soldi per farlo ce li facciamo dare dall'Unione Europea, nessun costo extra per i romani. Un capolavoro», concludeva entusiasta Grillo.
Alla presentazione del rapporto, introdotto dal deputato di +Europa Riccardo Magi, hanno assistito anche il vescovo ausiliare del settore Est monsignor Giampiero Palmieri, delegato della diocesi di Roma per la carità, i migranti, i rom, sinti e camminanti, e il direttore della fondazione Cei Migrantes, monsignor Giovanni De Robertis. La verifica dei fatti, due anni e mezzo dopo gli annunci, racconta dunque una realtà completamente diversa. Il dossier dell'Associazione 21 luglio è stato redatto verificando appalti e spese grazie ad accessi agli atti per verifica i documenti ufficiali del Campidoglio, un lavoro iniziato il 31 maggio 2017 e concluso il 20 dicembre 2019. Alle carte sono stati affiancati 38 sopralluoghi negli insediamenti di castel Romano, La Barbuta, Salone, Candoni, Gordiani, Camping River, Lombroso, oltre a interviste a rappresentanti della Croce Rossa e di Arci, coinvolte nel piano, e i funzionari dell'ufficio rom di Roma Capitale.
«È un piano rom contraddittorio e poco trasparente - dichiara il presidente della 21 luglio Carlo Stasolla - mai condiviso con la cittadinanza e caratterizzato dal rifiuto a qualsiasi supporto esterno, compresa l'adesione a programmi europei, accompagnato da una narrazione poco aderente alla realtà. Un piano le cui azioni hanno avuto un impatto quasi insignificante se rapportate alle ingenti somme di denaro impegnate».
L'insuccesso del piano, secondo l'Associazione 21 luglio, «purtroppo era prevedibile. È un piano che si fonda sulla non conoscenza del problema con una visione fortemente paternalistica». Il "Patto di Responsabilità Solidale" che nel piano rappresenta il "vincolo contrattuale" che lega l'amministrazione ad ogni nucleo che intende partecipare alle azioni inclusive a La Barbuta e Monachina è stato sottoscritto solo dal 19% delle famiglie. Sotto il profilo alloggiativo non risulta siano stati erogati supporti per il buono casa; sul versante lavoro, ad eccezione di tirocini e borse lavoro, non sono mai partite le startup previste dal piano; nella progettualità di recupero ambientale una sola persona risulta essere stata coinvolta. Drammatici sono i numeri sul fronte scolastico dove negli ultimi 3 anni si è assistito a un decremento dei minori rom iscritti del 56%».
A riprova dall'autoreferenzialità del piano capitolino, l'Associazione cita il rifiuto di aderire al progetti nazionale dell'Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali: «L'Unar l'anno scorso ha avviato un'importante progettualità europea: circa mezzo milione di euro di fondi europei per supportare 7 città metropolitane, tra cui la città di Roma, in un percorso di istituzione di tavoli per la revisione dei piani d'azione locale. Per Roma sarebbe stata un'occasione formidabile per rivedere il piano con il supporto di un'expertise esterna, ma la capitale, dopo aver aderito inizialmente, ne è uscita fuori. Un segnale chiaro di un'amministrazione arroccata, che non ha il coraggio di mettere in discussione il proprio lavoro».
Un quadro desolante, di fronte al quale l'Associazione 21 luglio chiede «una battuta di arresto» per un piano considerato «un treno senza freni»: «La Giunta sospenda ogni azione futura e crei uno spazio di confronto dove mettere le carte in tavola e provare a ripartire salvando il salvabile. Un tavolo cittadino per ristabilire un clima minimo di fiducia tra le parti». Altrimenti «assisteremo come nel passato allo sperpero del denaro pubblico, accompagnato da violazioni sistematiche dei diritti umani».