Piazza Irnerio
Altro che grande bellezza. Basta girare per qualche ora nelle principali via di Roma per capire che la città raccontata da Paolo Sorrentino appare agli occhi sconsolati dei passanti come una grande discarica a cielo aperto. Non c’è zona che si salvi, nemmeno le vie più centrali, invase in questi giorni dall’immondizia degli esercizi commerciali, non raccolta per via della chiusura anticipata del contratto della Cooperativa 29 giugno. Non si salvano i prestigiosi quartieri Prati e Balduina, le traverse di via Nomentana, piazza Bologna, l’area della Tiburtina. Non fanno eccezione neppure la zona di San Pietro, il quartiere Appio Latino e il quadrante nord attraversato da via Salaria. Per non parlare della periferia che spesso per giorni e giorni, come succede a La Rustica, non vede passare un camion della nettezza urbana.
«Qui l’Ama non viene da almeno cinque giorni», raccontano scuotendo la testa gli abitanti di viale XXI Aprile e via Lanciani (zona piazza Bologna, semicentrale) che si fanno largo tra i rifiuti ormai arrivati ad invadere anche i marciapiedi. Nemmeno i municipi dove è partita la raccolta differenziata sono liberi dai rifiuti; così ormai ci si è abituati a vedere nella centralissima via Veneto i cassonetti della differenziata stracolmi e circondati da montagne di sacchi neri. Causa, ma non solo, del caso della Cooperativa 29 giugno, a cui stanno facendo fronte circa 300 operatori dell’Ama (così sostiene l’azienda) per coprire i servizi fino a qualche giorno fa gestiti dalla coop un tempo guidata da Salvatore Buzzi e coinvolta nello scandalo di "Mafia Capitale". Una situazione che dovrebbe essere risolta già da lunedì.
Questo, però, è solo l’ultimo dei casi d’intoppo nella gestione dei rifiuti capitolini, tanto che i cittadini si stanno attrezzando come possono per far fronte alla raccolta a singhiozzo. Non sempre in maniera civile. Così si vedono, ad esempio, alcuni abitanti dei quartieri in cui è partita in via sperimentale la raccolta porta a porta – come Ponte di Nona e Settecamini, nella periferia est della Capitale – che utilizzano i primi cassonetti liberi disponibili all’uscita del tratto urbano dell’autostrada A24 (in via Galla Placidia e via di Portonaccio) per cimentarsi nel lancio dei sacchetti della spazzatura – talvolta non facendo "canestro" – direttamente dal finestrino dell’automobile. Analoghi episodi sono segnalati al Laurentino 38.
Ma non è tutto da buttare, a Roma. Non lo sono, soprattutto, i giovani immigrati che invece di chiedere l’elemosina scelgono di darsi da fare pulendo di volta in volta i rifiuti lasciati accanto ai cassonetti pur di guadagnare qualche euro. Ci sono ormai in ogni quartiere, con ramazza, paletta e un cappello capovolto ai bordi della strada in attesa di qualche spicciolo dai pedoni.
Ma come si è arrivati a questo? I problemi della municipalizzata romana dei rifiuti vengono da più lontano, da anni di scelte non fatte e di posizioni più o meno ideologiche sposate dalle varie giunte che si sono avvicendate a Palazzo Senatorio. La chiusura della discarica di Malagrotta per esaurimento di capacità (ma dopo numerosi rinvii e vicende giudiziarie), esattamente cinque anni fa, ha infine provocato l’esplosione del problema.
Per il 22 ottobre i sindacati Fp Cgil, Cisl Fit e Fiadel hanno indetto uno sciopero dei dipendenti Ama, per protestare contro un ciclo dei rifiuti ormai al collasso e «l’incertezza derivante dalla mancata approvazione del bilancio aziendale». Che significa avere gravi problemi di liquidità oltre che il blocco del turnover. La municipalizzata, che dall’ultimo piano industriale risulta avere 7.799 dipendenti, di cui 6.019 come personale di zona e autorimessa, necessiterebbe di almeno 924 persone in più.
«Per non parlare degli impianti – spiega il delegato sindacale della Fp Cgil in Ama Alessandro Russo – visto che uno dei problemi principali della Capitale è proprio l’insufficienza delle strutture per trattare i rifiuti». A cui si aggiunge il fatto che ogni giorno «si riesce a mettere in strada solo il 50% dei mezzi, perché o in officina o per mancanza di addetti». Senza dimenticare poi «il servizio porta a porta sperimentale appena partito che funziona male» e impegna molte risorse umane di Ama, che può contare in media su 4.254 operatori per i quindici municipi. Dalla municipalizzata dei rifiuti il presidente Lorenzo Bagnacani assicura che «entro breve il bilancio sarà approvato», ma è servito più tempo per «fare un’operazione chiarezza».
In attesa che alle parole seguano i fatti, oggi pomeriggio i sindacati, ma anche molti esponenti del Partito democratico, di Forza Italia e di Fratelli d’Italia, e i cittadini di diversi quartieri interessati (in alcuni giorni i miasmi nauseanti si avvertono fin nelle case di viale Somalia, a 5 chilometri di distanza) saranno al Tmb Salario, proprio di fronte alla borgata Fidene, per chiedere «un ciclo di rifiuti sostenibile». Tmb sta per "trattamento meccanico-biologico", ma negli ultimi mesi, per tamponare l’emergenza, si è di fatto trasformato in una discarica.
Lunedì, poi, i sindacati, che hanno indetto lo stato di agitazione, sono attesi dal prefetto che tenterà di gettare acqua sul fuoco e scongiurare che s’incrocino le braccia in una città già in ginocchio per la sporcizia. Nel frattempo è intervenuto il governo, con il ministero dell’Ambiente, chiedendo ufficialmente al Campidoglio e alla Città metropolitana di individuare le aree dove intende realizzare i nuovi impianti di trattamento e smaltimento.
Non resta insomma che aspettare. Ancora. E sperare che qualcosa cambi. A partire dalla raccolta differenziata, che non supera il 44%, e dai due bandi per conferire i rifiuti nelle regioni del Nord, andati deserti. Perché altrimenti l’obiettivo della giunta Raggi , "rifiuti zero" entro il 2021, rischia di essere solo una chimera.