venerdì 2 agosto 2024
Le regole restrittive servono a frenare la diffusione dei cannabinoidi, che hanno effetto nocivi
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Aspettiamo di vedere le motivazioni tecnico-scientifiche che hanno portato a includere la cosiddetta cannabis light nel novero delle droghe. Nel corso dell'esame degli emendamenti al ddl Sicurezza nelle commissioni Affari Costituzionali e Giustizia della Camera, tra le diverse proposte di modifica è stata approvata quella che, di fatto, equipara la cannabis light a quella illegale. È bene parlare con i dati alla mano e li considereremo appena disponibili; per ora ci limitiamo a fare alcune osservazioni. La prima viene da un interessantissimo articolo uscito il 26 luglio sulla rivista Journal of Pharmacology and Experimental Therapeuthics, in cui si fa il punto sui cannabinoidi spiegando la differenza tra i due principi attivi, il tetraidrocannabinolo (Thc) e il cannabidiolo (Cbd), entrambi presenti nella cannabis light, pur a dosi da non superare. In realtà l’articolo spiega che occorre sempre prudenza: «C’è spazio per effetti dell’esposizione al Cbd durante le finestre critiche di sviluppo del cervello», mentre l’uso della marijuana è aumentato progressivamente con la sua disponibilità.

Ma ancora più interessante è quanto riporta la rivista Forensic Sciences International proprio sulla situazione italiana: «I preparati di cannabis light sono prodotti derivati o contenenti infiorescenze femminili essiccate di Cannabis sativa; il contenuto totale di Thc nel raccolto non deve superare lo 0,2% secondo la normativa Ue. D'altro canto, il ministero dell'Interno ha pubblicato una nota in cui afferma che la vendita o la presenza nei mercati di prodotti (infiorescenze, concentrati, essenze e resine) o piante con concentrazioni superiori allo 0,5% costituisce reato». Il ministero – viene riferito – ha analizzato oltre 900 campioni di cannabis light: «In base alla legge 242/2016, solo il 18% delle colture è da considerarsi legale per il mercato (Thc totale <0,2%). Se la circolare del ministero dell'Interno dovesse essere convertita in legge vera e propria, una quantità consistente di preparati di cannabis light (24%) sarebbe considerata illegale (Thc totale >0,5%). D'altro canto, la maggior parte delle infiorescenze (58%) ha un contenuto di Thc totale compreso tra lo 0,2% e lo 0,5%, e non è chiaro se questi prodotti possano essere venduti o meno». A questo punto ci domandiamo quale sia un ragionamento che concili la libertà di mercato e la prudenza per la salute. E quanto questo abbia influito sul legislatore.

Guardiamo allora, per farci un’idea completa, al palcoscenico su cui si discute di droga: vip e personaggi pubblici ammiccanti sulla marijuana (come tanti ammiccano sul tabacco o sull’alcol, facendo malissimo), col rischio di banalizzazione del prodotto; pagine di giornali per decantare i biscotti alla marijuana o le virtù dei cestini di corda di cannabis: un bene per il mercato di quel settore, ma col messaggio che la marijuana è un prodotto come un altro. In questo vale anche la mancanza di prudenza nel parlare di uso terapeutico della cannabis, per ora auspicabile e verificato solo in rari sintomi, ma che se decantato porta all’equazione che la cannabis faccia bene tout court. Tutto fa pensare che si debba trovare un equilibrio tra l’esagerazione dei benefici e la messa al bando. Ma quando si rischia sul versante della salute occorre sempre molta prudenza.

Certo, qualcuno diceva che chi vieta vede solo i rischi e chi promuove vede solo il divertimento. Allora non si nasconda nessuno dietro a un dito: chi si scaglia contro la cannabis ma non fa lo stesso contro le altre sostanze tossiche rischia di essere ipocrita. Penso agli spot sulla birra o alle immagini di fumo di tabacco nei film, o ai programmi televisivi basati sul gioco di scommessa aleatorio in prima serata, che non mandano in rovina nessuno (a differenza delle bische clandestine o di certe slot machine) ma sono un segnale che la scommessa è tollerata e avallata. Ma in fondo, vogliamo dirla tutta? Nell’abuso si ricerca quella rassicurazione o quel brivido in particolari centri cerebrali di cui forse non si è goduto sin da piccoli. Una società che educa i bambini (rari) e i ragazzi soli e annoiati li sta facendo crescere bisognosi di sensazioni forti per sentirsi bene. Non è banale allora l’invito a coccolare i bambini, a farli stare bene, dando sensazioni positive e luoghi di incontro sociali a ogni età, per non essere conniventi con un mondo che fa vivere ognuno in isolamento: il problema dipendenza avrà una prima risposta, forse più forte del proibizionismo o della liberalizzazione.

Docente di Pediatria Università di Siena
Membro Comitato Bioetica
Regione Toscana

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