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Chiusi i portoni dei Palazzi della politica, parte la fase delle polemiche balneari (accentuate dalla campagna elettorale per le imminenti elezioni amministrative) e il Reddito di cittadinanza entra prepotente nel dibattito agostano dopo che il presidente Mario Draghi, pur difendendolo come «principio», lo ha messo in agenda per un "tagliando". Al lavoro per raccogliere dati, la presidente del comitato per la valutazione del Rdc, la sociologa Chiara Saraceno – designata dal ministro Andrea Orlando – , spiega di volersi far trovare pronta «per fine settembre o al massimo metà ottobre, in tempo per dare indicazioni al ministro per prime modifiche alla misura da approvare eventualmente nella legge di stabilità».
Una risposta a chi – come Matteo Renzi, Giorgia Meloni e Matteo Salvini – vorrebbe eliminare del tutto la misura voluta dal M5s, certo di aver cancellato la povertà nel Paese. Si tratta comunque di «una misura di sostegno al reddito», ormai a regime, e perciò «prendiamola e miglioriamola, senza procedere a colpi di machete», ragiona Saraceno.
A settembre, comunque, sarà questo uno dei temi caldi della ripresa. I 5 stelle non intendono mollare, e anche Giuseppe Conte lo ha messo in cima alle priorità, disposto solo a fare il tagliando annunciato dal premier, che ne condivide «il concetto», ma senza assolutamente snaturarlo. Il capo delegazione del M5s al governo, Stefano Patuanelli, chiede piuttosto benefici più diretti alle imprese che assumono i percettori del reddito e relega gli attacchi di Renzi e Salvini a «proclami che resteranno tali».
E proprio in previsione del "tagliando" il ministro del Lavoro ha voluto il comitato guidato da Saraceno. Due i punti su cui si concentreranno verosimilmente le modifiche: le scale di equivalenza per le famiglie numerose con figli minori (ora svantaggiate) e il requisito di soggiorno per gli stranieri non comunitari, che sarà ridotto da 10 anni «ad almeno 5». Inoltre si studiano criteri per tarare meglio la platea e novità per rendere più incisiva la formazione.
Anche il Pd, dunque, è pronto a lavorare alle modifiche al provvedimento, mantenendo però l’obiettivo di sostegno alla lotta alla povertà. Di diverso avviso, Renzi continua a immaginare un referendum per abrogarlo del tutto. «La legge è stata votata da Lega e M5s ed è difesa da Pd e Leu: l’unica strada, il referendum. Io non mollo, il sussidio va abolito», insiste il leader di Iv. Per l’ex premier la misura «non funziona, lo dimostrano i numeri, il fatto che sia andato in molti casi a persone legate alla criminalità, che non abbia combattuto la povertà. Lo dimostrano tutti gli indicatori. Fino a qualche settimana fa si diceva non se ne discute nemmeno, oggi sono tutti pronti come minimo a cambiarlo». Molto dipenderà perciò da come si procederà, per il senatore di Rignano. «Se continueranno a volerlo tenere, noi chiederemo ai cittadini di esprimersi con un referendum per il sì o per il no a questa misura – insiste Renzi –. Quei soldi diamoli a chi veramente crea lavoro, non a chi vive di sussidi».
Stessa prospettiva per Giorgia Meloni, per la quale il Rdc è un «vero disastro: solo il 15 per cento degli aventi diritto ha trovato un impiego». E questo è il punto su cui batte anche Matteo Salvini. «Invece di creare nuove opportunità di lavoro sta ottenendo il risultato opposto, creando lavoro nero e disoccupazione», contesta il leader della Lega, pur restando in sintonia con il premier Draghi: «A fine estate, numeri alla mano, chiaro che il Rdc dovrà essere ripensato e corretto».