I detenuti di Opera consegnano gli alimenti ai volontari del Banco alimentare attraverso le sbarre - Banco alimentare
Sabato 16 Novembre, ore 8. In viale Ripamonti, a Milano, ci sono 3 gradi e una nebbia fittissima. Arrivo in anticipo al punto di incontro con Guido Boldrin, responsabile dei volontari di Incontro e Presenza nel carcere di Opera. Non lo incrocio da tanto, ma sono proprio felice di rivederlo. Iniziamo le pratiche per l’ingresso, ci vorrà un po’. Non c’è quell’atmosfera di festa gioiosa dei supermercati, pieni di pettorine svolazzanti arancioni, ma gli sguardi dei volontari brillano. Finiamo le procedure ed entriamo. Per me ogni cosa è nuova: è la mia prima Colletta alimentare in carcere. Dopo aver letto per anni i pezzi di Giorgio Paolucci su Avvenire, oggi sono qui. Andiamo al bar, dove ci ritroviamo per prepararci. Guido ci legge e commenta le “10 righe”, il messaggio di Banco Alimentare per vivere la Colletta, che prende spunto da quello di Papa Francesco, per l’VIII^ Giornata Mondiale dei Poveri (il 17 novembre): “I poveri hanno molto da insegnare: in una cultura che ha messo al primo posto la ricchezza e spesso sacrifica la dignità delle persone sull’altare dei beni materiali, loro remano contro corrente, evidenziando che l’essenziale per la vita è ben altro. [Occorre] un cuore umile, che abbia il coraggio di diventare mendicante. Un cuore pronto a riconoscersi povero e bisognoso…”. Diciamo un Angelus e si parte.
Ci dividiamo in gruppi, io seguo Guido, nomen omen. Siamo all’ingresso in attesa dell’ok della polizia penitenziaria, da cui verremo costantemente scortati nel nostro viaggio. Saliamo al secondo piano. Ci fermiamo un attimo nel corridoio antistante. Davide, uno dei volontari esperti, entra nella guardiola e prende il microfono. Spiega ai detenuti perché siamo lì e poi legge le “10 righe”. Nelle sezioni di detenzione c’è tanto rumore e movimento. Qualcuno si ferma e ascolta. Guido, nel frattempo, mi spiega come funziona qui la Colletta. Qualche settimana prima, i detenuti vengono informati della proposta e ricevono un modulo su cui possono indicare gli alimenti che acquisteranno nel magazzino alimentare di Opera, per donarli. Li comprano con i loro soldi, i risparmi o quello che guadagnano facendo alcuni lavori in carcere.
I volontari del Banco alimentare tra le celle di Opera - Banco alimentare
Ci avviamo verso le celle. Mentre camminiamo sento raccontare che uno dei detenuti, Giuseppe, che era ad Opera fino allo scorso anno, oggi partecipa alla sua prima Colletta da uomo libero e si sente al settimo cielo perché sta anche facendo il volontario. Avanziamo nel corridoio e ci vengono incontro persone di età diverse, che hanno commesso reati cosiddetti comuni (furto, rapina, appropriazione indebita, omicidio, etc.). Incontriamo Giuseppe. «Ho già dato con la scheda» dice, «ma prendete anche queste (5 confezioni di passata di pomodoro), sono buone, sono di marca!». Butto un occhio alle sue spalle: la cella è uno spazio piccolo, spoglio, mi si strizza il cuore. Ci sono 3 letti. Sulle pareti oggetti vari fatti con gli stuzzicadenti, con la carta igienica, con pezzetti di stoffa. Qualcuno invece si chiude dentro, ci manda via, ci dice che non ha nulla e si allontana infastidito. Incrocio sguardi. Leggo rabbia, rassegnazione, ma anche un po’ di curiosità verso le nostre pettorine. Mai come oggi mi sento “protetta” dal mio piccolo mantello arancione, mentre mi sposto in mezzo a loro. Ma il disagio che provo con la mia presenza mendicante, è tanto. Mi “dò” fastidio.
Perché siamo qui a chiedere di donare a loro, che sono i poveri delle “10 righe”?
Mi viene incontro Pino, che mi mostra fiero delle piccole borse, realizzate con le confezioni riciclate del caffè. Un progetto, questo, ancora riservato, a cui partecipano i detenuti più creativi e pazienti. Guido mi spiega che la Colletta nelle carceri è nata nel 2010, dal dialogo con un detenuto a San Vittore. Mi racconta che chiedeva con ostinazione di poter partecipare al gesto, pur essendo recluso. Da lì l’intuizione: se un detenuto non può andare alla Colletta, la Colletta va dal detenuto e… si fa in carcere! Semplice no?! E da lì, in 14 anni tante adesioni, tante edizioni fino ad oggi, in cui sono 40 gli istituti penitenziari che in tutta Italia partecipano. Poi si avvicina un altro detenuto che ci dà della pasta e della passata, «io so cos’è la fame...» dice. Poi racconta che il figlio di 36 anni, dopo tanti lavori precari, ne ha finalmente trovato uno stabile, così prezioso per lui ed i figli piccoli, i suoi nipoti… e mentre lo dice si commuove e si allontana. Lo ringrazio.
Un volontario del Banco legge in carcere le “10 righe” di preghiera per invitare i detenuti a partecipare alla Colletta - Banco alimentare
Mi accorgo di non riuscire a parlare. Sono sopraffatta da quello che sto vivendo.
Passiamo davanti alle docce, esce un detenuto in accappatoio reggendosi ad una stampella, faccio in tempo e vedere dentro: uno spazio spoglio, senza privacy. Poi arriva un altro detenuto. È un nonno e ci dona un sacchetto pieno di merendine e biscotti. «Sono per i bambini» ci dice, e aggiunge che è un nonno anche lui, «di 4 nipoti! Ma non li ho mai conosciuti…». Deglutisco. Abbasso lo sguardo, gli dico grazie mentre gli stringo la mano, mi risponde «grazie a voi per quello che fate!». Non ricordo una situazione così. Una situazione in cui mi sono data così tanto fastidio a chiedere.
Andiamo poi nella sezione dove ci sono i detenuti in “alta sicurezza”. Qui troviamo gli altri volontari. Prende il microfono Edgardo, anche lui volontario come me alla prima Colletta in carcere. Lo osservo, respira, manda giù e poi attacca a spiegare perché siamo lì. In questa sezione i detenuti sono chiusi nelle celle. I 2 agenti chiudono il blindo dietro a noi ed aprono le celle, controllando la situazione. Non esce nessuno. Di nuovo al microfono: «Buongiorno, oggi è la Giornata della Colletta Alimentare, siamo qui perché vogliamo invitarvi a partecipare...», seguono le 10 righe. Ecco che escono un paio di persone. Sono anziani, molto. Passiamo davanti a una cella e vedo un altro “nonno” che ci fa segno di avvicinarci. Sorride, si chiama Vincenzo. Ci allunga due borse che ha preparato. Due borse piene di olio e di tonno. «Sono per voi...[. Guido mi guarda e vede i miei occhi farsi liquidi. Poi ci avviciniamo ad un’altra cella, due ragazzi nordafricani ci danno tonno, passata, biscotti. Mano a mano ci danno tutti gli alimenti che hanno sul tavolo. A loro non resta nulla. È davanti a questo nulla, che rimane a loro, che si schiantano i miei pregiudizi.
I detenuti di alta sicurezza donano attraverso le sbarre di Opera - Banco alimentare
Finiamo il giro e scendiamo al piano terra dove svuotiamo tutte le ceste con gli alimenti donati. Li inscatoliamo e carichiamo sul furgone: 1.220 Kg in partenza per Muggiò. Facciamo un piccolo momento conclusivo, ringrazio tutti e in modo particolare Guido per essere stato così prezioso. Torno in auto, inserisco le chiavi nel quadro e mi fermo un attimo.
Cosa vuol dire davvero condividere? Come si resta umani in uno stato così di privazione e senza libertà? Cosa ci salva?
Mi torna in mente Liliana Segre, quando racconta che, mentre era prigioniera ad Auschwitz, stette malissimo per un ascesso ad un braccio. Di ritorno dall’infermeria, un’altra prigioniera vide la sua disperazione e le donò un piccolo pezzo di carota, che aveva nascosto per sé. Quel pezzettino di carota salvò Liliana. La salvò non dalla fame. A salvarla fu quel grazie che sgorgò dal suo cuore e che le fece provare di nuovo un sentimento che credeva dimenticato: la gratitudine. Un cuore capace di condivisione e gratitudine, per restare umani, in ogni condizione.