Gli «embrioni viaggiatori», trattati «come oggetti»: il reportage pubblicato domenica da Avvenire in due pagine, firmato dalla giornalista francese Louise Audibert per La Croix Hebdoe poi uscito anche su queste pagine grazie alla partnership di Avvenire con il quotidiano cattolico francese, porta il lettore a fare il giro del mondo seguendo la rotta degli embrioni congelati e trasportati come bagaglio a mano da insospettabili corrieri, grazie alla complicità di una lunga filiera di favoreggiatori, ognuno con il suo interesse (e un bel carico di ipocrisia). Ma nell’agghiacciante fenomeno che si staglia tappa dopo tappa nel viaggio tra cliniche, mediatori, medici e madri surrogate l’Italia che ruolo ha? Certamente non marginale. Vediamo perché.
È ben nota l’imponenza del mercato italiano dei «figli su richiesta»: con la sola fecondazione artificiale nel 2018 sono nati 13.973 bambini (pari al 3,1% delle nascite totali) in 366 centri specializzati in tutte le regioni, fenomeno in continua crescita. Una pratica del tutto legale, s’intende, che tuttavia nel tempo ha anche generato una crescente aspettativa nei confronti della possibilità di ottenere un figlio come e quando si desidera che non sempre ha imboccato la strada di ciò che la legge 40 consente. Chi non riesce a ottenere un figlio in modo naturale o in provetta, non procrea per motivi fisiologici, o perché si tratta di una coppia di uomini, può finire per considerare anche l’ipotesi dell’affitto di una madre e della previa produzione di un embrione con gameti propri o reperiti sul libero mercato (perlopiù uno dei due). Solo una supposizione? Non proprio. La consistenza della domanda dall’Italia di figli tramite utero in affitto nei Paesi dove la pratica per gli stranieri è legale è documentata dal semplice ma decisivo indizio della presenza di numerosi siti che presentano nella nostra lingua (e spesso in ottimo italiano) i servizi di cliniche specializzate ucraine, spagnole o americane.
È recente il caso, emerso durante il lockdown primaverile, delle decine di bebè nati da madri surrogate ucraine e parcheggiati in un hotel di Kiev in attesa che potessero ritirarli i genitori committenti, alcuni dei quali italiani, con il nostro ambasciatore costretto ad arginare le richieste di connazionali che chiedevano un salvacondotto per recuperare il neonato e saldare il conto con la Biotexcom, erogatrice del 'pacchetto'. I motori di ricerca propongono tra gli annunci sponsorizzati siti come www.surrogacyitaly.com, www.uteroinaffitto. com o www.fertilitycenterlv. com, con listini dedicati agli italiani, in barba alla legge 40 che punisce con la reclusione da due mesi a tre anni «chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità».
Proprio il caso di quanti intascano soldi dalle pubblicità di una condotta che configura un reato – e di chi le realizza – ha riaperto il dossier della maternità surrogata all’italiana con la richiesta di intervento delle istituzioni per fermare un simile abuso. Ma l’ormai consolidata prassi giudiziaria di assolvere chi torna in Italia con un bebè nato da utero in affitto all’estero ha reso ormai il fenomeno non solo impunito ma nella sostanza tollerato. È la zona grigia all’italiana: a parole si vieta, nella prassi si legalizza, permettendo che ad alimentare il mercato globale della vita umana siano anche cittadini italiani, complice l’atteggiamento sinora ambiguo del nostro Paese verso una pratica abietta di commercializzazione della maternità, dei bambini e della stessa dignità femminile.
Chi avrà il coraggio e l’onestà di por termine a questa intollerabile opacità? Il Parlamento ha tutte le carte in mano per sanare il vuoto legislativo: giacciono alla Camera ancora in attesa di essere calendarizzate due proposte di legge per mettere al bando la maternità surrogata non solo in Italia ma anche all’estero vietando a cittadini italiani di alimentare questo turpe commercio. Le sensibilità sono molteplici: ma per prosciugare la palude dell’inerzia basterebbe davvero poco. Avvenire ha fornito una volta ancora la documentazione per voltare pagina. È l’ora dei fatti.
Paola Binetti all'attacco: interrogazione urgente al Senato
«Come intende il ministro proteggere la vita e la dignità del concepito, applicando la legge 40, tuttora in vigore; come intende porre fine alla pubblicità di pratiche proibite per legge, almeno in Italia, sollecitando l’AgCom a esercitare le sue prerogative; come intende porre fine a queste forme di trasporto illegale rivedendo l’accordo sottoscritto con l’Associazione internazionale del trasporto aereo ed esigendo che si dica esplicitamente che tipo di materiale organico si sta trasportando».
Sarà oltremodo interessante conoscere la risposta dei ministri della Salute e dei Trasporti a queste tre precise domande contenute nell’interrogazione parlamentare urgente presentata ieri dalla senatrice Paola Binetti (Udc-FI). A farla scattare come una molla il reportage di domenica: «È di oggi – spiega nel testo depositato a Palazzo Madama – la denuncia del quotidiano "Avvenire" di un altro aspetto essenziale in cui la legge viene aggirata ai danni diretti del concepito: gli embrioni viaggiatori, senza nessuna copertura assicurativa, che sarebbe illegale data la natura stessa del soggetto trasportato, e non dell’oggetto. Tra India, Nepal, Ucraina e Gran Bretagna, nel mercato dell’utero in affitto c’è anche il trasporto tra continenti di esseri umani appena concepiti».
«La legge 40 – denuncia la senatrice centrista – viene aggirata attraverso una pubblicità che non dovrebbe esistere e un trasporto senza garanzie e senza tutele; il desiderio di un figlio a ogni costo ha creato una rete dell’illegalità in cui le leggi sono palesemente disattese», «senza nessun rispetto per il soggetto che pure dovrebbe essere al centro dell’intero sistema, che lo sfrutta né più né meno di come si faceva con l’antica tratta degli esseri umani».