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Il noto motto “o la va o la spacca” è tornato di moda di recente, con la premier Giorgia Meloni che l’ha recuperato per spiegare il senso del futuro referendum sul premierato. E in qualche modo il motto potrebbe sembrare appropriato anche per Azione e per Carlo Calenda, che hanno scelto di non aderire al patto Renzi-Bonino per sfidare con le proprie forze la soglia del 4%. Anche se il leader azionista, nonché ex ministro, non la vede esattamente così... «No no, nessun “o la va o la spacca”, va e basta...», dice con convinzione.
Non teme, Calenda, che l’8-9 giugno possa diventare un bivio per la sua avventura politica?
Le Europee sono la tappa coerente di un percorso che non è mai cambiato e non cambierà: dare al Paese un partito liberale, popolare e riformista che consenta ai cittadini di uscire dalla logica “o bianco o nero”.
È ancora attuale questo progetto?
Lo è più di prima. Il Paese si sta spaccando. Gli altri leader stanno facendo una campagna elettorale adolescenziale mentre la sanità cade a pezzi e i salari non sono adeguati a una minima qualità della vita. E in questo scenario la presidente del Consiglio continua a governare per metà Paese.
Pensa che le forze di destra e di sinistra porteranno queste polarizzazioni anche in Europa?
È così. E bisogna dire con molta chiarezza che l’Europa, con le forze politiche che dicono “ci vuole meno Ue”, andrà a sgretolarsi.
Però la prospettiva di una maggioranza che si sposta a destra esiste, no?
Macché, non c’è una maggioranza di destra. E i deputati della Lega non toccheranno palla come non l’hanno toccata nell’ultima legislatura. L’Italia è 25esima su 27 per influenza al Parlamento Europeo. E questo accade perché queste forze che vogliono l’Ue debole lì ci mandano degli improbabili.
Ce li mandano anche stavolta?
Beh, c’è Vannacci...
Insomma lei non crede che i partiti di destra italiani riusciranno a infilarsi in una maggioranza europea...
La maggioranza sarà la stessa che c’è oggi.
Fdi non proverà a contare?
Ma io me lo auguro che provino ad entrare in una maggioranza europeista. Al momento però vediamo una premier che preferisce fare quella di Colle Oppio.
Non è troppo duro?
Signori, io parto dai fatti. Meloni non parla con Macron, con Scholz e con Sanchez perché non sono amici suoi. Questo è lo stato dell’arte. Lei è unfit a governare. Inadatta.
Stessa maggioranza allora, con la stessa presidente della Commissione?
Von der Leyen ultimamente ha sbandato troppo. Capita, quando vuoi corteggiare i sovranisti...
Dunque meglio Draghi?
È l’europeo più autorevole nel mondo. Mi meraviglia proprio tanto che Schlein ostacoli questa ipotesi.
Azione con i Liberali si vede centrale in questo scenario?
Noi intanto presentiamo liste piene di competenza, non portiamo a Bruxelles persone impreparate. E se non si fossero candidati gli altri leader non lo avrei fatto nemmeno io, ma non potevo lasciare dei tecnici soli a combattere questa battaglia. Pensi che non sto chiedendo le preferenze per me. Per quanto riguarda i Liberali, saranno ancora il collante irrinunciabile tra Popolari e Socialisti.
Però lei su alcuni risultati della precedente legislatura è critico, anche sul Green deal.
Quel patto è finto, è irraggiungibile. Significherebbe produrre 1 milione e 200mila macchine elettriche in Italia. O accade un miracolo o saranno macchine cinesi. La transizione va rinegoziata.
Sull’eventuale utilizzo di armi europee per attacchi su obiettivi russi lei che dice?
Dico che sono seccato dall’uscita di Macron nel merito e nel metodo. Noi non vogliamo un’escalation, sono radicalmente contrario a mandare le truppe in Ucraina. Poi una cosa è bombardare il punto da cui mandano i missili, altro colpire indiscriminatamente la Russia.
L’esercito europeo serve?
Certo, indipendentemente anche dal fatto che torni o non torni Trump. Oggi buttiamo 28 miliardi di euro non integrando i nostri sistemi difensivi.
Manca qualche tema in questa campagna?
È stato dimenticato il Mes sanitario, unica speranza per salvare la Sanità italiana. E non si parla di politica industriale. Se domani la Cina attacca Taiwan noi non abbiamo più semiconduttori. Se entriamo in guerra commerciale con Pechino non abbiamo i principi attivi dei farmaci. Queste sono le priorità, altro che gli insulti tra Meloni e De Luca...
Pentito di non essersi accordato con Renzi e Bonino?
Ma si figuri che rimpianto ho di non stare nella lista che va da Mastella a Cecchi Paone. Ripeto: il piano non è cambiato, dare un centro all’Italia. Ma non posso farlo con uno che vota La Russa per far entrare Boschi in Vigilanza. L’ho capito e non torno più indietro.