Le macerie della pila 10 (Ansa)
Un anno dopo, il ponte Morandi non esiste più. Ciò che restava del viadotto autostradale Polcevera – crollato disastrosamente alle 11.36 del 14 agosto scorso, provocando 43 morti, 16 feriti (di cui due deceduti dopo il ricovero in ospedale), 583 sfollati e danni per oltre un miliardo di euro alla città di Genova – è stato completamente abbattuto. «La demolizione è conclusa», ha annunciato ieri Vittorio Omini, responsabile del pool di aziende che hanno avuto l’incarico dalla struttura commissariale e che intendono liberare definitivamente il cantiere entro la fine di settembre.
Nemmeno la crisi di governo rallenterà il programma dei lavori, ha assicurato il sindaco Marco Bucci, che ieri ha inaugurato il bypass di via Porro, l’ultima strada del quartiere di Certosa ancora chiusa dal giorno del crollo. «Ho avuto garanzie che la crisi di governo non inficerà i lavori sul ponte e quelli di messa a punto della città», ha ribadito il primo cittadino e commissario alla ricostruzione, a margine della cerimonia. «Mi faccio garante di questo – ha aggiunto Bucci – e se vedessi che c’è qualcosa che non funziona me ne occuperò, sarò il primo a lavorarci. Per ora, quindi, andiamo avanti come da programma e con il supporto di tutti».
L’auspicio che le fibrillazioni politiche non abbiano ripercussioni negative sulla città, è stato espresso anche dall’arcivescovo di Genova, cardinale Angelo Bagnasco, che domani mattina, a un anno esatto dalla tragedia, celebrerà una Messa di suffragio nell’area dove sorgeva il ponte Morandi e dove è stato aperto il cantiere per la costruzione del nuovo viadotto sul torrente Polcevera. Se, invece, la crisi dovesse coinvolgere anche la ricostruzione, secondo Bagnasco sarebbe «una grave sconfitta per l’intero Paese agli occhi nostri e del mondo». «Voglio pensare ed essere sicuro che questo non sarà possibile», ha aggiunto l’arcivescovo, che ha rivolto un pensiero anche ai familiari delle vittime. «Vorremmo che non si sentissero soli», è il desiderio del cardinale. Che ha aggiunto: «Come in quei momenti li abbiamo in tutti i modi possibili abbracciati, penso ai miei sacerdoti che sono stati tutta la notte a vegliare i defunti, al funerale che è stato composto, raccolto, nonostante la grande folla e la grandissima emozione di tutti, vorrei che adesso non si sentissero soli. Genova non vuole che si sentano soli. Tutto quello che è possibile fare ancora vorremmo che si realizzasse intorno a loro».
Dodici mesi dopo, la Chiesa genovese è, dunque, ancora in prima linea nell’assistenza e nella vicinanza, non soltanto materiale, alla comunità ferita. Soprattutto a quella di Certosa, il quartiere dove sorgeva il ponte Morandi, che per mezzo secolo ne ha sovrastatato le case e di cui era diventato il simbolo. Fin dalle prime ore, il chiostro della chiesa di San Bartolomeo è diventato punto di riferimento per la gente e le famiglie bisognose di tutto. Qui il cardinale Bagnasco ha celebrato la Messa di Natale, per testimoniare, ancora una volta, vicinanza e solidarietà concrete. Che si sono manifestate in mille modi. Dai vestiti per bambini distribuiti dai volontari del guardaroba parrocchiale “Pollicino”, agli aiuti economici destinati a chi aveva perso il lavoro. «Un anno dopo, la ferita è ancora aperta e noi restiamo qui, a disposizione della comunità», conferma il parroco don Gianandrea Grosso. «La comunità sta cercando, con fatica, di risollevarsi e c’è tanta gente che ha voglia di fare bene», aggiunge il sacerdote. Che, per l’estate, ha aperto le strutture parrocchiali all’accoglienza di oltre settanta bambini che frequentano l’oratorio. Un altro modo, concreto e gratuito, di venire incontro ai bisogni delle famiglie.
Alle quali guarda anche la Conferenza parrocchiale di San Vincenzo che, con la Società operaia cattolica, ha destinato le donazioni ricevute ai bambini delle scuole del quartiere, donando a ciascuno 100 euro per l’acquisto dei libri e del corredo scolastico. «Soprattutto nei primi mesi – conferma il presidente della Conferenza, Giulio Masi – i nostri volontari hanno lavorato senza sosta e i primissimi sostegni economici alle famiglie sono arrivati proprio attraverso la nostra rete di contatti. Tutte le realtà parrocchiali - aggiunge Masi – dagli Scout all’Azione Cattolica, dalla San Vincenzo alla Soc, hanno collaborato racchiudendo in un abbraccio collettivo la comunità ferita. Che sta ancora soffrendo e che questa grande prova ha in parte sfilacciato. Ma che non si vuole arrendere, continuando a lavorare per la rinascita della Valpolcevera». E la Chiesa sarà, ancora una volta, in prima linea accanto ai più bisognosi.