Il disegno di legge anti-omofobia supera il primo passaggio, con il sì della Camera: 228 (non tantissimi, molto meno della metà del totale dei deputati) i voti a favore, 57 contrari e 108 astenuti. Il testo ora passa al Senato, dove la maggioranza dei favorevoli di ieri (Pd, Scelta civica e Psi) non ha sulla carta i numeri per il sì definitivo. Per il no si sono espressi Pdl, Lega e Fdi, anche se il voto segreto non consente di fotografare con chiarezza la situazione, con tutti i gruppi della fragilissima maggioranza attraversati da divisioni e con un Pdl "falcidiato" nelle presenze finali dal contemporaneo discorso di Silvio Berlusconi e alcune espressioni in dissenso manifestatesi, ad esempio all’interno di Udc e Scelta Civica fra deputati che pure si erano battuti per la "riduzione del danno".Danno inevitabile, invece, hanno continuato a sostenere numerosi esponenti del Pdl. Si dissociavano sia il capogruppo in Commissione Giustizia Enrico Costa che considerava «pericolosa» e «pasticciata» la mediazione trovata, sia il presidente della Affari Costituzionali Francesco Paolo Sisto, che ha visto respinta in tutte le formulazioni la proposta della sua Commissioni di inserire un avverbio («apertamente») al testo, per superare il rischio di dar vita al reato di opinione. Rischio che per altri esponenti, come Alessandro Pagano ed Eugenia Roccella (anche tutti i loro emendamenti sono stati bocciati) è insito nella scelta stessa di far ricorso alla legge Mancino per una fattispecie, sostengono, non assimilabile a quelle già previste nella norma anti-discriminazioni: «Così si dà vita a una nuova antropologia di Stato attraverso una norma liberticida», era la denuncia di Pagano.Lo snodo cruciale della discussione si è avuto a metà pomeriggio, quando il deputato di Scelta Civica Gregorio Gitti ha presentato un sub-emendamento che - assorbendo altre proposte già formalizzate, che venivano quindi ritirate - andava a potenziare la "scriminante" già formalizzata dal Pd che vedeva Walter Verini come primo firmatario. Nel testo venivano escluse dalla fattispecie di reato le condotte «assunte all’interno di organizzazioni che svolgono attività di natura politica, sindacale, culturale, sanitaria, di istruzione, religioso o di culto nell’ambito dei principi di rilevanza costituzionale che connotano tali organizzazioni». Questa previsione si andava ad aggiungere all’emendamento Verini, che già "salvava" le «opinioni riconducibili al pluralismo delle idee purché non istighino all’odio o alla violenza, né le condotte conformi al diritto vigente».Una formulazione molto articolata per far fronte, o tentare di far fronte, al rischio di far sfociare nel reato di opinione la tutela anti-discriminatoria da accordare a una categoria di persone connotata da un preciso orientamento sessuale. Ma era un compromesso che comportava, sull’altro piatto della bilancia l’inserimento dell’omofobia e della transfobia nella legge Mancino, ivi compresa la previsione di una nuova circostanza aggravante per ogni reato che fosse appesantito da tale motivazione.
Una nuova formulazione portata all’esame dell’aula, dalla quale il proponente Gitti faceva dipendere il voto a favore del provvedimento da parte di Scelta Civica. Ma questo compromesso (trovato in mattinata nel comitato ristretto della Commissione Giustizia), se da un lato non serviva a dar ritornare il Pdl sui propri passi (durissimo anzi il capogruppo Costa che parlava di «baratto» Pd-Scelta civica) metteva sulle barricate Sel e 5 Stelle, che andavano all’attacco del relatore Ivan Scalfarotto che aveva difeso questa mediazione con la ben nota frase di Voltaire sulla libertà di pensiero. Alla fine proprio l’intervento di Scalfarotto - che con forza si era intestato questa proposta di fronte ai maldipancia diffusi nel suo partito - e la convergenza un po’ a sorpresa della Lega consentiva all’emendamento chiave (ribattezzato "salva associazioni, o molto più rozzamente "salva vescovi") di passare, per soli 13 voti.A quel punto la discussione guidata dal presidente di turno Roberto Giachetti scivolava stancamente verso il voto finale, un risultato giudicato «disastroso» dall’Arcigay, mentre i deputati di 5 Stelle, che da alcuni giorni sfoggiavano per l’occasione un fiore rosa, a fronte di attacchi furibondi al Pd a una «legge farsa» annunciavano alla fine con Silvia Giordano un voto di astensione condito da baci omosex in aula ed esibizione di cartelli. Oltre che in aula, da M5S, attacchi alla Chiesa, in Rete, anche da associazioni del mondo gay. Per Gitti, invece, proprio alla luce della sua proposta, è stato trovato «un punto di equilibrio e saggezza».Un testo che in ogni caso, una volta diventato legge, attraverso una prassi giurisprudenziale ancora tutta da scrivere, connoterà come reato autonomo, e aggravante per altri reati commessi con questa motivazione, l’incitamento all’omofobia e alla transfobia.