Ansa archivio
Continua in Parlamento e nel Paese il confronto sul testo base della legge contro l’omofobia. La commissione Giustizia della Camera ha raddoppiato gli sforzi per esaminare entro martedì – secondo il calendario annunciato – gli oltre mille emendamenti presentati (975 arrivano da Lega e Fratelli d’Italia). Il testo del ddl è atteso in Aula, alla Camera per il 27 luglio ma, vista la mole degli emendamenti, non è escluso un rinvio.
Tra le iniziative e le prese di posizione di questi giorni vanno segnalati anche gli interventi di due vescovi. Corrado Sanguineti, vescovo di Pavia, in un editoriale sul settimanale diocesano "Il Ticino", giudica «troppo grave è il rischio che surrettiziamente si introduca un reato di opinione e che venga meno un libero e critico confronto di idee e di concezioni dell’umano». Mentre l’arcivescovo di Taranto, Filippo Santoro, a proposito delle discussioni nate per la preghiera per la famiglia in chiave anti-ddl omofobia nella parrocchia di Lizzano, ha auspicato in una nota la crescita di una «Chiesa che sia capace di gettare ponti per allacciare rapporti, per costruire opportunità più che ergere muri di separazione». Mentre Alberto Gambino, presidente di Scienza&Vita ritiene che «dietro una protezione penale "privilegiata" (come quella che si configurerebbe con il ddl Zan) pare emergere una visione del mondo che in parte è ideologica».
Sul tema era intervenuta anche la Presidenza della Cei con un comunicato in cui si sottolineava che una nuova legge non è necessaria, ma si assicurava la disponibilità «a un confronto autentico e intellettualmente onesto». Proprio raccogliendo la sollecitazione dei vescovi abbiamo ospitato nei giorni scorsi vari approfondimenti e numerose lettere di segno opposto. Oggi diamo spazio oggi a due magistrati con opinioni divergenti, ma entrambi competenti della materia e quindi meritevoli di essere ascoltati.
LE DOMANDE
1. Opinioni a rischio?
La proposta di legge Zan si propone di estendere le fattispecie dei reati previste dall’articolo 604 bis e ter del Codice penale, la cosiddetta "legge Mancino". C’è che sostiene che questo articolo, punendo anche la propaganda di idee fondate sull’odio razziale o etnico, non potrebbe essere esteso all’identità di genere e all’orientamento sessuale perché in quest’ambito le opinioni sono diverse e quindi si rischierebbe di punire la libera espressione delle idee. Come magistrato avverte questo rischio?
2. Identità di genere?
Se parliamo di odio razziale o etnico facciamo riferimento a situazioni già condannate dalla storia in modo condiviso e su base ormai universale. E su queste il diritto penale può esprimersi con sicurezza. Parlando di identità di genere i confini sono invece molto più labili. E allora il diritto penale può esprimersi su concetti complessi, che psicologia e antropologia valutando in modo differente?
3. Una norma utile?
Nelle audizioni alla Commissione Giustizia della Camera alcuni esperti hanno spiegato che il numero di reati riguardanti atti di discriminazione su base sessuale è in realtà molto più elevato di quanto emerga dalle statistiche. Non ritiene che il codice penale disponga già degli strumenti per punire questi reati? E cosa impedisce oggi a lei magistrato di perseguire gli autori di questi gesti?
4. Articolo 61?
Invece di un reato specifico che rischierebbe di categorizzare le persone, il presidente emerito della Corte costituzionale, Cesare Mirabelli, ha proposto di non modificare l’art. 604 bis, ma di inserire nell’art.61 una nuova aggravante valida per tutti: aver determinato o agito per determinare discriminazioni lesive della dignità e dell’uguglianza della persona umana. Non potrebbe risultare una formulazione di più semplice applicazione anche per voi magistrati?
ALFREDO MANTOVANO RISPONDE: «Non servono tutele specifiche»
1. La “legge Mancino”, trasfusa negli art. 604–bis e 604–ter cod. pen. è stata sempre criticata della dottrina penalista perché incrimina reati c.d. d’opinione. Il bilanciamento tra la libertà di pensiero e l’anticipazione della difesa penale è stato però ritenuto ragionevole dalla Corte costituzionale in quanto le opinioni incriminate sono oggettivamente riconosciute come errate e pericolose, poiché individuano nella razza, nella provenienza etnica e nella religione il motivo per differenziare il godimento dei diritti e delle libertà della persona; e poiché chi nega il godimento di diritti e libertà per tali motivi è in generale espressione di una minoranza estremista, pronta all’uso della minaccia e della violenza per affermare le proprie idee.
2. L’estensione che viene proposta all’orientamento sessuale e all’identità di genere fa saltare questo già precario equilibrio, e rischia di sanzionare non già la discriminazione, bensì l’espressione di una legittima opinione. Orientamento sessuale e identità di genere sono al centro di un dibattito aperto: una parte della popolazione ritiene che due persone dello stesso sesso possano contrarre matrimonio e adottare bambini; altra parte lo nega. La stessa Consulta ha affermato che «le unioni omosessuali non possono essere ritenute omogenee al matrimonio» (sent. n. 138/2010), che è lecito impedire alle persone omosessuali l’accesso alla procreazione medicalmente assistita (sent. n. 221/2019), che è ammissibile la preclusione legislativa in materia di adozioni (sent. n. 76/2016). Non sussiste quindi per tali questioni quel requisito della obiettiva erroneità delle tesi, che ha fondato la costituzionalità della “legge Mancino”. Non sussiste nemmeno il requisito del carattere violento di chi si esprime contro l’estensione di determinati diritti agli omosessuali: le manifestazioni pro family possono condividersi o meno, ma nella stragrande maggioranza coinvolgono famiglie con bambini. Si presentano con modalità non violente, tali da non esortare neanche implicitamente a condotte minacciose, o lesive, di persone omosessuali. Presidiare con sanzione penale la posizione di chi, per es., ritiene che la famiglia esiga per essere tale la duplicità di figure genitoriali, e non la duplicazione della stessa figura, significa introdurre un reato di opinione, come insegna l’esperienza degli ordinamenti nei quali disposizioni del genere sono state già introdotte.
Alfredo Mantovano, consigliere alla Suprema Corte di Cassazione: «Si vuole introdurre una legge bavaglio.
3. Da 10 anni il Ministero dell’Interno ha istituito l’Oscad–Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori. Il report finora disponibile, che elabora i dati raccolti da settembre 2010 a dicembre 2018, informa che negli otto anni del periodo monitorato le segnalazioni sono state in totale 2.532: di esse solo 670, cioè il 26.5%, provengono dalle forze di polizia. 584 segnalazioni, pari al 27.1%, provengono da associazioni, privati o enti. 650, cioè il 25.7%, provengono dall’Unar. 628, pari al 24.7% provengono da articoli di giornali o servizi tv. Le segnalazioni propriamente di hate crime e hate speech sono in totale 1.512. Di esse quelle che hanno avuto come matrice l’orientamento sessuale sono 197 (13%) e 15 (1%) attengono all’identità di genere, la cui somma è 212: 26.5 segnalazioni all’anno. Non appare un numero da emergenza tale da giustificare una legislazione ad hoc. L’obiettivo di tutelare da qualsiasi tipo di offesa alla persona – quale che sia il suo orientamento sessuale – è insito in un sistema che sanziona, con pene proporzionate alla gravità del nocumento che viene arrecato, i delitti contro la vita, contro l’incolumità personale, contro l’onore, contro la personalità individuale, e così via. Sarebbe gravemente discriminatorio nei confronti delle persone omosessuali ritenere non applicabile nei confronti di chi procura loro un’offesa una o più norme incriminatrici a causa del loro orientamento sessuale: ma nell’ordinamento non vi è nulla di tutto questo, e nessuno immagina di inserirlo. Una tutela rafforzata nei loro confronti sarebbe però egualmente discriminatoria verso le persone eterosessuali, o comunque verso soggetti il cui orientamento sessuale non sia in alcun modo emerso nella vicenda concreta oggetto di giudizio.
4. È apprezzabile lo sforzo di “disinnescare” la pericolosità del testo Zan e associati. Tuttavia, per la carica ideologica che esso ha, dubito che i suoi promotori rinunceranno alle espressioni "identità di genere" e "orientamento sessuale". Se restiamo nel recinto dell’art. 61 cod. pen., l’intento di punire l’offesa rivolta a una persona in considerazione del suo orientamento sessuale ben può farsi rientrare applicando – a seconda del fatto concreto –, l’aggravante dei motivi abietti e futili di cui all’art. 61 n. 1, ovvero l’aggravante dell’avere “profittato di circostanze (…) di persona (…) tali da ostacolare la (…) difesa” (art. 61 n. 5). Le formulazioni di carattere generale e astratto di queste due aggravanti – di quelle generalità e astrattezza che dovrebbero connotare ogni norma primaria – appaiono tali da ricomprendere ogni situazione nella quale si manifesti da un lato l’assoluta inconsistenza e riprovevolezza di ciò che ha motivato l’azione illecita, dall’altro l’approfittamento di uno stato di particolare disagio personale: l’aggravamento della pena per offese rivolte a persone a causa del loro orientamento sessuale avverrà se il riferimento a quest’ultimo è il riflesso di una insulsa banalità, ovvero se colpisce una vittima con difficoltà a reagire.
FABRIZIO FILICE RISPONDE: «Ma qui non c’è il reato d’opinione»
1. No. La proposta di legge è formulata in modo tale da estendere il solo reato di istigazione, e non quello di propaganda, ai motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’identità di genere e sull’orientamento sessuale. La condotta penalmente rilevante è dunque individuata solo nell’istigare altri a commettere, o nel commettere in prima persona, atti discriminatori o violenti per finalità di discriminazione o di odio fondati su una delle caratteristiche personali sopra ricordate. Evitando il reato di propaganda si è voluto escludere in radice anche la sola possibilità teorica che possa essere oggetto di repressione la legittima manifestazione di tutte le opinioni, ivi comprese quelle di quanti ritengano di riconoscere legittimità ai soli modelli relazionali, familiari e genitoriali fondati sull’unione eterosessuale.
2. La realtà è che sono tuttora diffusissime, nella società e nelle casse di risonanza dei social, opinioni e atteggiamenti al contrario profondamente ispirati da pregiudizi razziali, etnici, nazionali o religiosi, e che gli ambienti di maturazione di tali opinioni sono spesso gli stessi dell’odio omolesbobitransfobico e dell’odio di genere. La Commissione parlamentare Jo Cox sull’intolleranza, la xenofobia, il razzismo e i fenomeni d’odio, che ha lavorato nella scorsa Legislatura, ha individuato una 'piramide dell’odio' che vede al vertice, in qualità di soggetti maggiormente bersagliati dall’odio social, dalla violenza nelle relazioni strette e dalle discriminazioni sul lavoro e nell’accesso ai beni e servizi, le donne e la comunità lgbt. Proteggere le vittime e scoraggiare la violenza e la discriminazione è non solo un compito del diritto penale, attuativo dell’obbligo costituzionale di rimuovere gli ostacoli di ordine sociale che, limitando la libertà e l’uguaglianza, impediscono il pieno sviluppo della persona; ma è anche un obbligo positivo cui il nostro ordinamento è chiamato a rispondere in virtù di fonti sovranazionali che l’Italia ha già recepito – ad esempio la Direttiva 2012/29/UE, attuata dall’Italia con decreto legislativo 15 dicembre 2015 n. 212 – nonché del diritto euro–unitario (intendendo per tale la Convenzione europea dei diritti umani e il diritto dell’Unione), che ha la stessa forza normativa delle Costituzioni. Questo è stato fatto per l’odio razziale o etnico nonostante si possa affermare, credo senza tema di smentita, che i concetti di “etnia” ed “etnicità” non solo pertengano, al pari di quello di “genere”, all’antropologia, ma anche che siano, in ambito psicologico e antropologico, altrettanto discussi e oggetto di valutazioni differenti.
3 Il diritto penale prevede ovviamente dei delitti comuni contro la persona e la libertà individuale che possono essere commessi anche per motivi di odio omolesbobitransfobico o di genere, ma non dispone di strumenti specifici, quali sono gli attuali articoli 604 bis e ter del codice penale in materia di odio etnico e razziale, che consentano di cogliere l’odio nel momento in cui esso trascenda la legittima espressione di un’opinione per obiettivizzarsi in una violenza 'in atto', così rendendo concreto e attuale il pericolo che seguano atti reali di violenza o discriminazione nei confronti delle vittime. In assenza di questa normativa le moltissime denunce relative alla diffusione di messaggi di odio sui social contro donne e persone lgbt, in molti casi contenenti gravi minacce di morte alle vittime e ai loro familiari e, soprattutto nel caso delle donne, minacce di stupro, non vengono trattate per quello che sono, cioè condotte d’odio, e non ne viene svelato il reale pericolo di concretizzazione in atti violenti o discriminatori. Vengono invece iscritte come reati comuni vari, per lo più di diffamazione, nella maggior parte dei casi contro ignoti e poi, non sempre ma in molti casi, archiviate; in quanto l’assenza di una normativa specifica, impedendo di strutturare un’accusa precisa, può effettivamente non rendere nemmeno utile svolgere complessi accertamenti informatici per individuare gli autori delle minacce in rete, che possono quindi oggi contare su un’ampia zona di impunità.
il magistrato Filice: «La proposta è formulata in modo tale da perseguire l’istigazione, non la propaganda
4 Non credo che la proposta di legge in questione rechi il rischio di “categorizzare le persone” in quanto è formulata in termini assolutamente neutri e non limitati a una particolare condizione; si parla espressamente, infatti, di “orientamento sessuale”, che comprende l’orientamento omo o bisessuale al pari di quello eterosessuale. È l’odio sociale, piuttosto, che vuole creare delle categorie di vittime, come i risultati della Commissione Jo Cox hanno dimostrato; ma questo è, appunto, un problema sociale non un problema della norma, la quale al contrario tende a disarticolare queste categorie dell’odio e a proteggere le vittime. Quanto al discorso dell’aggravante, essa può essere formulata e collocata variamente nel codice penale; il punto, però, è che resta solo una parte della soluzione. Un’aggravante, come dice la parola stessa, aggrava, cioè attribuisce un surplus di pena a un delitto già commesso. Il focus della tutela dai crimini d’odio dovrebbe invece concentrarsi in un momento anteriore, in cui il discorso d’odio monta e si trasforma in violenza 'in potenza' e poi 'in atto', generando così un concreto e attuale pericolo di atti violenti o discriminatori nei confronti delle persone.