L'Italia risponde di non volersi prendere responsabilità per l'assegnazione del porto sicuro della Ocean Viking. Il 2 novembre è la data in cui scatterà la proroga automatica degli accordi presi dall'Italia con la cosidetta Guardia costiera di Tripoli, ma vedendo cosa accade sulla plancia di comando della Ocean Viking sembra che tutto sia ancora in alto mare: la nave di Medici Senza Frontiere e Sos Mediterranee resta in attesa di ricevere indicazioni per un porto sicuro di approdo. E sono passati tre giorni dalla prima richiesta.
Nella giornata di martedì il premier Giuseppe Conte ai cronisti che gli chiedevano del memorandum Italia-Libia che contiene una clausola di tacito rinnovo aveva assicurato: "Faremo delle riunioni governative per valutare nel merito del prosieguo di quello che lei chiama l’accordo con la Libia. Poi valuteremo in trasparenza come comunicarlo e confrontarci con il Parlamento".
Oggi, però, è il quarto giorno in cui 104 vite sono lasciate a loro stesse, in un limbo umanitario, al quale non eravamo più abituati ad assistere dopo l'avvicendamento di Salvini al Viminale. Va detto che per l'ultimo disimbarco delle 176 persone soccorse dalla Ocean Viking c'erano volute meno di 24 ore per ricevere la comunicazione del porto di Taranto, e dopo le 40 ore di navigazione, tutto era proceduto in modo rapido con la Croce Rossa e l'Acnur presenti sulla banchina a garantire accoglienza e cure mediche alle persone soccorse.
In poco più di una settimana cosa è cambiato? E le odissee di cui sono erano state protagoniste, loro malgrado, le navi Sea Watch 3, Open Arms ed entrambi le imbarcazioni di Mediterranea, la Mare Jonio e la Alex, durante l'estate, sono la realtà che dovrà affrontare anche la nave di Medici senza frontiere e Sos Mediterranee? Domande aperte, a cui oggi è giunta una parziale risposta: la mail arrivata alla nave Ocean Viking in merito alla richiesta di un porto di approdo lascia intendere che l'Italia non voglia per il momento prendersi la responsabilità del disimbarco.
Viene ribadito dalla centrale operativa di Roma che gestisce i soccorsi in mare che l'area Sar dove si è svolto il salvataggio venerdì scorso non è di competenza italiana. Nella mail viene chiarito che non è stata la centrale operativa di soccorso, il Maritime Rescue and Coordination Centre di Roma, a coordinare l'evento Sar e al tempo stesso che l'Mrcc di Roma non è l'autorità marittima di riferimento della Ocean Viking che batte bandiera norvegese. In sintesi, l'Italia sembra dire il destino delle persone soccorse non riguarda noi.
Al contrario a bordo si fa di tutto perché le persone abbiano meno disagi possibili e occupare il tempo delle persone soccorse è uno degli imperativi dell'equipaggio così come esaudire i desideri dei più piccoli, come creare nuovi palloncini con guanti di lattice e scotch, perché dopo poco finiscono tutti in mare, scherzare e leggere con loro fumetti. Anche per gli adulti il tempo trascorre lentamente, alcuni giocano a scacchi, alcuni riposano, molti disegnano: oramai i container dove si dorme sul deck sono diventati delle gallerie d'arte in mare aperto. E poi ci sono i racconti degli orrori della Libia, come dei fantasmi onnipresenti: perché salire sul gommone, sapendo quasi certamente di morire? Perché attraversare il deserto, sapendo che pochissimi sopravvivono? Non esistono risposte univoche a queste domande, ma "ci vuole un po' perché il destino si interessi a te, che porti addosso delle pietre pesanti, delle sofferenze" così hanno scritto in una lettera alcune delle persone soccorse per ringraziare l'equipaggio della Ocean Viking e da quelle stesse parole si comprende che non c'è alternativa alla loro fuga verso l'Europa: "Sono qui perché nel loro Paese c'è un conflitto interno, o perché il loro titolo di studio non è riconosciuto e vogliono far proseguire in Europa le loro aspirazioni" spiega Hassan, uno dei soccorritori, e quest'attesa sembra tanto l'ennesima umiliazione a cui li stiamo sottoponendo.
Secondo giorno di attesa sulla Ocean Viking: «Quando arriveremo in Europa?»
Primo giorno di attesa: richiesto un porto sicuro, l'orrore della Libia nelle parole dei salvati