venerdì 4 agosto 2017
Il commissario Avramopoulos «Aderire non significa impedire i soccorsi, ma stabilire regole per tutti e garantire l’accesso ai porti». Forti (Caritas): si vuole distrarre l’opinione pubblica
I controlli effettuati mercoledì scorso dalla polizia sulla Iuventa, la nave della ong tedesca Jugend Rettet

I controlli effettuati mercoledì scorso dalla polizia sulla Iuventa, la nave della ong tedesca Jugend Rettet

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Anche la ong tedesca Sea Eye ha firmato il Codice di condotta predisposto dal Viminale in relazione alle operazioni di ricerca e recupero di migranti nel Mediterraneo centrale. Sale quindi a quattro il numero di organizzazioni che hanno aderito alla linea definita dal ministero dell’Interno: Moas, Save the Children, Proactiva Open Arms e appunto Sea Eye.

Si fa strada quindi la strategia del ministero dell’Interno che prevede per le navi umanitarie il divieto di entrare in acque territoriali libiche, salvo situazioni di pericolo grave; non spegnere o ritardare la trasmissione dei segnali di identificazione delle navi; non comunicare con gli scafisti; informare il proprio Stato di bandiera dei soccorsi effettuati; non trasferire i migranti su altre navi; ricevere a bordo, su richiesta delle autorità nazionali competenti, funzionari di polizia giudiziaria; dichiarare le proprie fonti di finanziamento; attestare l’idoneità tecnica per le attività di soccorso.

Le non firmatarie restano Medici senza frontiere, Sos Mediterranée, Life Boat e Jugen Rettet, quest’ultima però proprio due giorni fa si è vista porre sotto sequestro dalla magistratura trapanese la sua nave Iuventa.

«Mi dispiace che alcune ong abbiano scelto di non firmare il Codice di condotta. Dobbiamo lavorare assieme. Per questo chiedo di nuovo a tutte le organizzazioni di aderire all’iniziativa». Così il commissario europeo per la Migrazione Dimitris Avramopoulos in un’intervista all’Ansa, ha spiegato come il lo scopo del codice non sia «impedire alle ong di fare il loro nobile lavoro», ma «fornire chiarezza» e «garantire l’accesso nei porti italiani» alle navi delle organizzazioni che «si conformano a certi principi e standard, in linea con le leggi internazionali». Dalle parole del commissario arriva un rinnovato e pieno «sostegno» al lavoro dell’Italia, reiterato anche dalla «fiducia nelle autorità italiane», espressa da Bruxelles a commento del caso Iuventa.

Nell’ambito di questa indagine sono trapelate informazioni circa testimonianze raccolte attraverso uomini di Save The Children. Ma l’organizzazione smentisce. «Le persone indicate nominalmente da alcuni media come testimoni dei fatti non fanno parte del personale umanitario dell’Organizzazione a bordo della nave Vos Hestia. Sono invece componenti del personale di sicurezza che fanno parte della società che collabora con l’armatore dal quale è stata noleggiata l’imbarcazione e che da esso è stata segnalata ». Save the Children, dunque, «non può corroborare alcuna altra informazione, che ha appreso soltanto dai media, ma conferma la propria fiducia nella magistratura per il più rapido chiarimento della situazione, nell’interesse delle missioni umanitarie di ricerca e salvataggio».

Chi parla di tema sovradimensionato è Oliviero Forti, responsabile del dipartimento Migranti di Caritas Italiana. «Il 90% di quanto il codice del Viminale chiede, le Ong lo facevano già e chi no ha fiormato avrà le sue ragioni», dice. «Temo, però, che l’intera faccenda venga sovrastimata - aggiunge - per distrarre l’opinione pubblica dal problema principale: la stabilizzazione della Libia. E questo non dipende dal lavoro delle ong». Ma da scelte politiche che, come si vede dall’attivismo di Paesi come la Francia, «niente hanno a che vedere con le vere politiche migratorie, delle quali non c’è traccia, e che non si risolvono - conclude Forti - con un codice di condotta».

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