Un 'Mondo' di calcio vero, pulito, senza azzardi se non quello di «spiegare fin da piccoli che il miglior strumento di integrazione resta sempre e comunque il calcio». È la lezione di Emiliano Mondonico, 69 anni, di cui trenta trascorsi su una panchina a bordo campo. «L’ultima panchina, è la più affascinante: seguo i bambini tra i 5-7 anni dell’oratorio Sant’Alberto di Lodi. Ma gli allenamenti che facciamo sono unici, oltre che i migliori, il sabato mattina (dalle dieci a mezzogiorno): in campo con i figli faccio scendere anche i papà. Il genitore, e non io, l’allenatore famoso o l’ex calciatore di Serie A deve essere il loro eroe, il punto di riferimento per tutta la vita». Si accalora il pasionario 'Mondo' e simbolicamente alza la sedia al cielo come nella notte di Amsterdam (finale di Coppa Uefa del 1992 tra il suo Torino e l’Ajax) quando gli ricordiamo della magnifica trovata di Intralot, lo sponsor della Nazionale di calcio di Giampiero Ventura. «Non si può fare pubblicità a qualcosa che produce dipendenza».
Parola di chi da quindici anni, a Rivolta d’Adda, allena anche una formazione di ragazzi affetti da dipendenze. Dei calciatori de 'L’Approdo' (il reparto dell’ospedale di Rivolta d’Adda,
ndr) che ho allenato, chi è dipendente da alcol e droga nell’80% dei casi riesce a venire fuori, i ludopatici non guariscono quasi mai e mollano la squadra quasi subito. La loro è una malattia: una volta contratta, dovranno lottarci fino alla morte. Non ci sono soldi che tengano, qui c’è in ballo la vita delle persone e il futuro delle nuove generazioni.
I minorenni delle Under azzurre sono l’anello più debole della catena... Certo e trovo assurdo il fatto che debbano indossare quella tuta con quello sponsor. Il ragazzino di 15 anni dovrebbe rifiutarsi e dire: 'No, io quella scritta non la mostro'. E quel 'no'non dovrebbe rappresentare l’eccezione ma la normalità. Ma il dramma dei nostri giorni è che abbiamo messo al bando la normalità.
Forse però sarebbe più normale che quel 'no' lo dicessero per primi Buffon e compagni. Certo. Il calciatore professionista non si può tirare sempre indietro. In certi casi in cui l’assurdo prevale in maniera vergognosa, bisogna metterci la faccia. Io ce la metto. In una faccenda come questa che infrange i valori più importanti dello sport ci metto anche il cuore, ci metto tutto.
Finora lei, Ranieri e Farina (che lavorano in Inghilterra, al Leicester e all’Aston Villa) siete gli unici coach del pallone italiano che avete messo la faccia contro Intralot. È la responsabilità del genitore e del buon padre di famiglia quella che dovrebbe emergere, ancor prima di quella dell’allenatore. Da tecnico invece mi chiedo: in Federazione esistono contratti fatti e gestiti da chi? Da allenatore professionista se vengo a conoscenza di queste sponsorizzazioni a fatto compiuto, prima protesto e se le spiegazioni non mi convincono allora straccio il cartellino.
Nella sua lunga carriera avrà conosciuto calciatori che sono passati dalle slot e dalle puntate all’agenzia sportiva, fino alla 'combine' in campo che poi ha generato la saga italiana di Scommessopoli... Il mio credo calcistico mi impone di non credere, ancora oggi, che ci possano essere calciatori disposti a giocare per perdere o a 'taroccare' una partita, magari pagando per vincere. Il sospetto purtroppo è cominciato quando ho conosciuto i ragazzi in cura a 'L’Approdo'. Ascoltare le storie di ragazzi o adulti che si erano rovinati al gioco mi ha fatto sorgere il cattivo pensiero che anche nel mondo del calcio ci fossero persone con questi problemi. Purtroppo ci sono, e sicuramente non li aiutiamo mettendo sulle tute della Nazionale uno sponsor del genere.
Il messaggio del mister 'con la sedia alzata' a coloro che, in silenzio e di nascosto, in questo momento convivono con la ludopatia. Dico a loro di non aver paura nel chiedere aiuto e di non permettere a se stessi di buttarsi via. Ai ragazzi ricordo che la vita non è fatta di macchinette e di azzardi al banco delle scommesse, ma di fatica. Scommettere sul rosso o il nero, sulla vittoria o la sconfitta di qualcuno non porta da nessuna parte. Giocare a calcio per stare bene con se stessi e con gli altri è l’unico risultato sul quale puntare, sempre.