Il carcere di Rebibbia - Ansa foto d'archivio
È morto improvvisamente a Roma all’età di 62 anni don Roberto Guernieri, sacerdote che ha speso la sua vita per aiutare gli ultimi, che da 30 anni per lui erano i detenuti del carcere di Rebibbia. Malato da tempo, è stato stroncato da un infarto proprio mentre aiutava un carcerato. Le esequie si sono tenute oggi alle 14.30 al santuario nuovo della Madonna del Divino Amore, in via del Santuario 10, presiedute dal cardinale Enrico Feroci, già direttore della Caritas di Roma.
Sacerdote degli Oblati figli della Madonna del Divino Amore, mantovano, classe 1959, viene ordinato dall’allora cardinale vicario di Roma Ugo Poletti. Dopo i primi anni, dal 1998 al 1994, come vicario parrocchiale di Santa Maria del Divino Amore a Castel di Leva, don Roberto opera alla Caritas con il direttore don Luigi Di Liegro. Aiuta i senzatetto della Stazione Termini, gli adolescenti a rischio, i malati di Aids. Trova la sua strada nell’assistenza ai detenuti.
Nel 1993 è cappellano nella Casa circondariale maschile del nuovo complesso di Rebibbia, dal 2016 diventa coordinatore dei Cappellani dello stesso carcere. Nel 2020 lo intervista L’Osservatore Romano: «Sono sempre dalla parte dei detenuti - dice - perché sono i più deboli, i più indifesi, quelli che non contano niente, hanno sempre torto. Io, che non sopporto l’ingiustizia, sono sempre dalla loro parte, lotto per loro e con loro». Per Don Guernieri sono persone, immagine di Cristo, non delinquenti.
«Quando venne catturato, di notte, Totò Riina. Arrivò così com’era e fui costretto a chiedere un clergyman a un confratello per permettergli di andare a processo».
Ma don Roberto è anche quello che convince i detenuti al 41bis a confessarsi: «Tutti facevano la comunione ma nessuno si confessava mai. Una mattina arrivo ma non celebro. I detenuti mi chiedono cosa accade. "Non ha senso. Voi non vi confessate, pensate di non averne bisogno, e fate la comunione. Ma come? Il Papa si confessa, io mi confesso, e voi mai?" Li ho lasciati senza Messa per un bel po’». «Se n’è andato come ha sempre vissuto, aiutando i detenuti», ricorda Don Sandro Spriano, al suo fianco per trent’anni.