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Finché è la logica dell’emergenza a ispirare le politiche migratorie, lo spazio per una risposta strutturale al bisogno di accoglienza di chi fugge resta limitato. E questo anche alla luce di quanto sta accadendo in Ucraina, una tragedia che non cancella i conflitti in corso da anni né le lo- ro ricadute in Europa. A ricordarlo è il Rapporto annuale del Centro Astalli 2022, presentato ieri a Roma con una veste grafica rinnovata e finalmente in presenza dopo lo stop imposto dalla pandemia.
Stando ai numeri del servizio per i rifugiati dei gesuiti, nel 2021 gli sbarchi di migranti sulle nostre coste sono raddoppiati. Gli arrivi sono stati poco più di 67mila, tra cui 9.478 minori non accompagnati a fronte dei 4.687 del 2020. «Le persone provenienti dalla Libia – fa notare padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli – sono state il 47% del totale. Questo ci dà anche la dimensione del problema delle detenzioni nel Paese, che ha coinvolto circa 30mila persone ('falsi rifugiati' secondo una nuova retorica da propaganda) e che lascia conseguenze non secondarie in un numero sempre più alto di donne e uomini». Ci sono poi le vittime in mare, dal 2014 sono 24.600, «soprattutto nel Mediterraneo – precisa il cardinale Jean-Claude Hollerich, presidente della Commissione delle conferenze episcopali Ue (Comece), intervenendo in un video –. È semplicemente inaccettabile – continua – . Uno scandalo per la coscienza umana. Una vergogna per la nostra civiltà». I flussi, però, sono uno fenomeno globale e «la guerra scoppiata all’inizio del 2022 – prevede Ripamonti – farà senza dubbio aumentare il numero degli sfollati nel mondo». A metà del 2021 se ne stimavano già più di 84 milioni, contro gli 82,4 milioni di fine 2020. La previsione per l’anno in corso è di 90 milioni. Circa 48 milioni tra le persone fuggite dalla propria terra nello scorso anno sono ora rifugiati interni, ma la cosa interessante è che già a metà del 2021 i primi 5 Paesi di partenza erano gli stessi rispetto all’anno precedente: Siria, Venezuela, Afghanistan, Sud Sudan e Myanmar, circostanza che conferma la continuità del fenomeno e la necessità di sostituire l’approccio emergenziale. «Probabilmente – prosegue il presidente dell’organizzazione – gli avvenimenti dell’agosto 2021 in Afghanistan, che la maggior parte di noi fa fatica a ricordare, aumenteranno il numero dei rifugiati provenienti da lì, già oltre i 2,5 milioni».
Il Centro Astalli assiste circa 17mila persone, 10mila soltanto a Roma (ma sono 8 le sedi territoriali presenti in diverse città). Uno sforzo portato avanti grazie all’aiuto di 600 volontari e 54 operatori, impegnati nella prima accoglienza e nei percorsi di inserimento sociale e lavorativo. «Circa 2mila persone durante l’anno si sono rivolte alla nostra mensa – ricorda ancora Ripamonti –, che ha distribuito 46mila pasti ». Sono invece 500 i rifugiati presi in carico dalla struttura romana per la prima volta l’anno passato. Visto il quadro, stupisce che una misura europea concepita nel 2001 per allargare le maglie del sistema di protezione sia stata attivata solo adesso: «Finalmente è divenuta operativa la direttiva 55 del 2001 che prevede l’immediata protezione temporanea del rifugiato – commenta Marina Sereni, viceministra degli Esteri –. È la prima volta che viene applicata, si tratta di un fatto storico che crea un importante precedente. Ne abbiamo discusso per anni, è una procedura utile, soprattutto perché scompare il tema del Paese di primo approdo», e cioè il nodo che ancora tiene imbrigliata la riforma del trattato di Dublino. Un’altra novità importante, mette infine in risalto Sereni, è che la Polonia sta accogliendo più di tutti, segno che «da una tragedia forse può nascere una riflessione diversa. La Polonia di oggi sta sostenendo un enorme peso quando in passato sappiamo che non è stato così».