Due dei giovani nigeriani accolti nella parrocchia di Arcinazzo
Una nuova buona notizia per i tre migranti ospitati da tre mesi nella parrocchia Beata Maria Vergine Refugium Peccatorum agli Altipiani di Arcinazzo, sulle montagne laziali, dopo essere stati "cacciati" da un Cas. E una nuova sconfessione dell’operato della Prefettura di Frosinone. Mentre il parroco, don Onofrio Cannato apre la canonica ad altri tre giovani africani, anche essi protagonisti di una vicenda analoga.
La buona notizia è che il Tar di Latina ha accolto il ricorso dei tre migranti contro il provvedimento di revoca delle misure di accoglienza emesso dalla Prefettura di Frosinone. La motivazione è «eccesso di potere». Come scrivono i giudici amministrativi, i tre giovani nigeriani, erano stati accusati dalla Prefettura di «una serie di comportamenti contrari alle regole di pacifica convivenza oltre che alle più comuni regole di vivere civile». Come i lettori di Avvenire ricorderanno, tutto nasce dalla protesta, all’inizio di gennaio, degli oltre cento ospiti del Cas gestito dalla cooperativa "Tre fontane". Per i gravissimi ritardi nelle pratiche per la richiesta d’asilo e per le condizioni di vita nel centro, prima un albergo fallito e poi due villette. Per quella protesta erano stati "puniti" in cinque, con la revoca dell’accoglienza. Ed erano finiti per strada. Ma per fortuna per tre di loro era scattata la solidarietà del parroco don Onofrio Cannato, sostenuto dal vescovo di Anagni-Alatri, monsignor Lorenzo Loppa. Accoglienza in parrocchia, e aiuto concreto della comunità.
Dopo la denuncia di Avvenire era arrivata la decisione del ministero dell’Interno di concedere un permesso di soggiorno temporaneo, fino a giugno, in attesa della risposta alla richiesta d’asilo. Ora arriva la sentenza del Tar che dà ragione ai tre migranti e critica la Prefettura. Secondo il Tribunale i giovani non sarebbero stati informati del procedimento in corso nei loro confronti e dunque non avrebbero avuto la possibilità di spiegare i motivi della loro protesta, né quindi di difendersi. «Osserva il Collegio – scrive il Tar – che appare fondata la censura relativa alla violazione dell’art.7 della legge n.241 del 1990, non essendo stata data alcuna comunicazione dell’avvio del procedimento relativo alla revoca delle misure di accoglienza». La norma citata, spiegano i giudici, «prevede che l’avvio del procedimento sia comunicato ai soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale sia destinato a produrre effetti diretti». Una comunicazione che è esclusa solo «qualora sussistano ragioni di impedimento derivanti da particolari esigenze di celerità del provvedimento».
Ma, accusa il Tar, la Prefettura «nel provvedimento non ha fatto alcun riferimento a tali particolari esigenze». Mentre, insiste il Tribunale, «le ragioni della speditezza devono essere poste a raffronto con le esigenze di tutela del contraddittorio, soprattutto nel caso in cui il provvedimento da adottare consista nel ritiro o nella modificazione di un atto favorevole per i destinatari con conseguente venir meno di un effetto positivo». Ma questo non è avvenuto, non c’è stata comunicazione, è mancato il contraddittorio e quindi la difesa. Dunque «il ricorso deve essere accolto con conseguente annullamento del provvedimento di revoca delle misure di accoglienza».
Ora i tre giovani potrebbero rientrare nel centro ma, ovviamente, preferiscono restare in parrocchia. Oltretutto hanno cominciato tutta una serie di attività di integrazione. Vanno a scuola di italiano e tra poco inizieranno un corso di applicazione web. E nella parrocchia l’accoglienza si allarga. Come ci spiega don Onofrio sono in arrivo altri tre migranti provenienti da un Cas di Fiuggi. Anche loro allontanati come i primi tre per aver protestato contro le condizioni di accoglienza.