Il Dem Giuseppe Provenzano: sulla lotta alla mafia «ci siamo», ma no al presidenzialismo - Fotogramma
Per quello che c’è, ma anche per quello che manca nel discorso con cui la premier Giorgia Meloni ha chiesto e ottenuto la fiducia, Giuseppe Provenzano, vicesegretario del Pd, si dice preoccupato. Ma sia pure dalla posizione di minoranza è deciso, con i dem, a fare la sua parte.
Meloni ha fatto un discorso “denso”, ovviamente di destra. Meloni ha avuto un solo pregio, quello della chiarezza. Con tratti di forte arroganza nella replica. Ha detto che non ha simpatie per il fascismo, bene. Ma ha una smaccata antipatia per l’antifascismo, che non è stato i colpi di chiave inglese contro i camerati, come ha detto lei: è la matrice della nostra democrazia».
Ha trattato molti temi, ma il lavoro è declinato in funzione del Reddito di cittadinanza. Si aspettava un riferimento al lavoro precario? È del tutto assente la lotta alle disuguaglianze, alle ingiustizie. Non ha dato risposte ai problemi delle persone, ma nemmeno si è posta le giuste domande. Se la disoccupazione è altissima, cosa vuol dire che chi può lavorare deve lavorare? Nulla. E intanto gli toglie il reddito? Non una parola sulla precarietà, sul salario minimo. E il taglio del cuneo, che proponiamo noi, è incompatibile con la Flat tax. La peggiore delle ingiustizie è far parti uguali tra diseguali.
Lei non ha escluso la possibilità di collaborare su alcuni temi, per esempio sulla lotta alla mafia. E sulle riforme? Ho apprezzato il riferimento a Paolo Borsellino, la stagione delle stragi ha segnato anche me. Oggi torna una domanda di mafia, in interi comparti economici, in pezzi della politica. In Sicilia abbiamo visto uomini della destra arrestati per voto di scambio politico- mafioso. Meloni ha detto che combatterà a testa alta, io le ho chiesto di non guardare in faccia nessuno. Ma sul presidenzialismo non ci sono margini di intesa. Del resto, lei ha detto che vuole andare avanti da sola. Si ricordi che l’ha votata appena il 43 per cento degli elettori. Governerà legittimamente, ma non ha con sé la maggioranza degli italiani.
La premier ha confermato la linea atlantica. Sulla pace si aspettava di più? Sulla pace mi aspetto di più da tutta Europa, un’iniziativa diplomatica che porti al cessate il fuoco e poi a una pace giusta, senza cedere ai ricatti, alla prepotenza e all’orrore di Putin. Le opinioni pubbliche devono farsi sentire, ecco perché sarò alla manifestazione del 5 novembre.
Per la prima volta una donna premier. La sinistra non ha mai trovato una donna all’altezza? Una donna premier ha una portata storica e simbolica, persino al di là delle idee della premier e dell’articolo determinativo che sceglie. Da uomo di sinistra, vivo questo traguardo come uno smacco. Avremmo dovuto raggiungerlo prima noi. Ma non si può liquidare il valore delle donne di sinistra che si sono battute per fare quei passi avanti sul cammino della parità, di cui oggi beneficia la stessa Meloni.
Lo stile della premier è molto decisionista (ha messo all’angolo almeno per ora Berlusconi e Salvini). La convince? Il problema è cosa si decide. Lei è diventata la padrona della destra italiana, ma deve capire che non è la padrona dell’Italia. Il potere ce l’ha. Non cerchi alibi, come il presidenzialismo. Si occupi ora dei problemi dei cittadini. Non è solo suo diritto, è suo dovere.
I nuovi nomi dei ministeri contengono una scelta sostanziale? Hanno inaugurato una neolingua ministeriale, ma è la destra che rivela la sua essenza. All’istruzione si aggiunge il merito: come dire, “se non ce la fai, è solo colpa tua”. È la legittimazione etica delle disuguaglianze. Il merito senza uguaglianza si traduce con una parola più antica e più chiara: censo. Il ministero dello Sviluppo è diventato “delle imprese”. Ai 73 tavoli di crisi aperti bisognerà tutelare lavoratori e capacità produttiva, spesso a fronte di comportamenti speculativi. La destra ha scelto la sua parte. All’altra, quella del lavoro e della produzione sana, sostenibile, abbiamo il dovere di pensarci noi.
Il Pd riuscirà a fare una opposizione convincente da solo? Finora la richiesta di coordinamento non ha avuto seguito. Di fronte al governo più a destra della storia della Repubblica, a una maggioranza divisa ma che nell’esercizio del potere sa unirsi, forme di coordinamento tra le opposizioni sono una necessità. La condizione è però voler fare davvero opposizione, la vicenda dell’elezione del presidente del Senato La Russa è inaccettabile. E l’ossessione di attaccare sempre il Pd desta stupore. La sconfitta del 25 settembre non è bastata?
Conte si propone come riferimento progressista. In pochi mesi ha tolto lo “scettro” a Letta? Il Terzo polo dice che sono loro i veri riformisti, i 5s che sono loro i veri progressisti. La verità è che lo spazio per una grande forza progressista, riformista e radicale sulla giustizia sociale e ambientale esiste, ed è quello che noi dobbiamo diventare con grande chiarezza ed evidenza alla fine di un percorso costituente che deve restituirci un nuovo Pd. Che somigli di più alle cose che diciamo, che recuperi credibilità. In ogni caso, il ruolo della prima forza dell’opposizione progressista ce lo hanno assegnato gli elettori. E fare opposizione non solo per difendere ma per attuare la Costituzione, è quello che ci serve.
Il voto del Lazio è imminente. Non rischiate di puntare sulle alleanze e finire come per le politiche? Il Lazio chiude dieci anni di buon governo, le giunte Zingaretti hanno raggiunto risultati tangibili per la vita quotidiana delle persone. È stato possibile anche grazie alla capacità di costruire alleanze larghe. Questo patrimonio non dev’essere dissipato.
Nel Pd dopo il Congresso ci saranno le novità auspicate? I movimenti a livello locale sono tali e tanti da far proliferare i candidati… Venerdì in Direzione approveremo il percorso congressuale costituente. Sarà aperto anche a soggetti collettivi non aderenti all’attuale Pd. Mi sono impegnato molto su un punto, che alla fine di questa fase iniziale possiamo scrivere il Manifesto di un nuovo Partito democratico, che affronti il tema dell’identità. Chiediamo aiuto al mondo della cultura, del lavoro, dell’innovazione sociale e ambientale. Su alcuni punti fondamentali, guerra e pace, lotta alle disuguaglianze e precarietà, non ci possono essere due partiti. La destra non ha avuto paura della sua identità. Noi ora dobbiamo decidere chi siamo e cosa vogliamo, solo dopo sceglieremo le persone migliori per guidarci.
Lei si candida? La ridda di autocandidature non ha dato una bella immagine della nostra comunità. Fermiamoci, discutiamo insieme cosa è successo. Ascoltiamo quelli che non ci hanno votato, ma che sentono il bisogno di un grande partito della giustizia sociale e ambientale. Io ho già detto che non intendo aggiungere il mio nome alla confusione generale. Voglio contribuire a spostare la discussione sulle idee.