venerdì 26 agosto 2022
Parla il presidente della Fondazione per la sussidiarietà e uno dei leader storici di Comunione e liberazione. Povertà e inflazione due emergenze
Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione per la Sussidiarietà al Meeting di Rimini

Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione per la Sussidiarietà al Meeting di Rimini - Fotogramma

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Al Meeting dei cent’anni di Giussani tornano i visitatori e i grandi dibattiti sulla pace e sulla politica. Che bilancio fa di questa edizione?
Molto positivo – ci risponde Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione per la sussidiarietà e uno dei leader storici di Comunione e liberazione –. Ho visto tanta "vitalità sussidiaria", tantissime persone desiderose di conoscere, incontrarsi, rinsaldare rapporti. Un Meeting, per usare le parole del premier Mario Draghi, come luogo in cui «ragionare sul Paese che siamo, su quello che vogliamo diventare». Uscire dall’isolamento, costituire comunità e corpi intermedi, è il primo passo dello sviluppo di un Paese, come mostra l’ultimo Rapporto sulla sussidiarietà. Perché questo significa condividere responsabilità e ideali, sperimentare che il bene individuale e quello collettivo possono andare insieme, appassionarsi alla cosa pubblica nel tentativo di risolvere i problemi. Strada che il nostro Paese sa prendere nei momenti difficili.

Oltre al tema delle aggregazioni sociali, lei ha messo al centro dell’attenzione del mondo politico la scuola e il lavoro. Perché?
Sono i fattori fondamentali che determinano la crescita di un Paese. E dovrebbero essere le priorità della politica. Da questo punto di vista sono d’accordo con la proposta di Enrico Letta di allungare l’obbligo scolastico. E con l’idea, da tutti condivisa, di valorizzare di più la professionalità degli insegnanti. Oggi il sistema scolastico che dovrebbe garantire uguaglianza di opportunità è ancora troppo classista, come dimostrano i 543mila abbandoni, i più di 2 milioni Neet, giovano che non lavorano né studiano. Inoltre, contro la vulgata neoliberista che considera la precarietà come un valore e ha imposto salari bassi, nel disastroso mito di uno sviluppo che risparmi occupazione, bisogna tornare a occuparsi di lavoro dignitoso.

Il cardinal Zuppi mette il Terzo settore al centro dell’agenda, esprimendo le preoccupazioni della Chiesa proprio dalla tribuna della Fiera. Cosa dovrebbero fare i partiti su questo fronte?
Il Terzo settore gioca un ruolo chiave in Italia. Il Rapporto citato al Meeting ha messo in luce che la sussidiarietà, intesa come partecipazione ad attività collettive, sociali, civiche e politiche, contribuisce a migliorare la qualità della vita, facilita la ricerca di un lavoro e riduce il rischio di povertà. Le emergenze generate dal Covid e dalla guerra in Ucraina stanno esaltando il ruolo del non profit nel nostro Paese. Il Terzo settore è un universo che conta 375mila istituzioni tra associazioni, fondazioni e cooperative sociali, in aumento del 25% rispetto a 10 anni fa. Il valore della produzione del Terzo settore in Italia è stimato in 80 miliardi di euro e sfiora il 5% del Prodotto interno lordo. Gli addetti sono oltre 900mila, ai quali si aggiungono 4 milioni di volontari. Alla politica chiediamo di sostenere il Terzo settore che dà un contributo chiave al paese. Un esempio è il 5x1000, che va potenziato.

A Rimini, Mario Draghi ha fatto un intenso bilancio della sua esperienza a Palazzo Chigi: cosa condivide delle parole del premier e delle reazioni del pubblico?
Condivido tutto. Mario Draghi ha mostrato una positività concreta verso il futuro del Paese. Ha messo in luce tutti i problemi, ma mostrando la possibilità di affrontarli. La vera agenda Draghi è un metodo fatto di competenza, concretezza, coesione, ricerca del compromesso, fiducia. Non c’è da stupirsi, quindi, che la platea del Meeting lo abbia accolto con grande entusiasmo, con lunghi e calorosi applausi.

Come valuta la campagna elettorale in corso?
La campagna elettorale dal mio punto di vista è cominciata solo con l’incontro dei segretari di partito al Meeting, perché lì si è iniziato a parlare di temi concreti, in modo costruttivo. E così spero che vada avanti. Parlando delle emergenze in corso, come l’inflazione innescata dal costo dell’energia e la povertà. Questa ha raggiunto ormai la cifra di 5 milioni di persone. Inoltre, ai temi di fondo citati, l’istruzione e il lavoro, ci sono la salute e obiettivi di medio termine, ma cruciali per il futuro del Paese, come la sostenibilità ambientale e la demografia. L’Italia nel 2021 ha toccato il record negativo nelle nascite. Il calo demografico getta una pesante ipoteca su qualsiasi prospettiva di sviluppo. Ciò che è stato fatto per sostenere le famiglie non basta.

Questo Meeting è stato segnato dall’ombra di una guerra molto vicina a noi. Cosa significa lavorare per la pace in questo momento?
A livello istituzionale dobbiamo mettere in atto la nostra tradizione, che è fatta di relazioni e ricerca di mediazioni con tutti i paesi. Rispetto alla drammatica guerra in Ucraina non bisogna smettere di cercare una soluzione negoziata e un dialogo continuo. Ma la pace è soprattutto una conquista personale, generale, di tutti gli uomini, che comincia il desiderio di conoscere l’altro e di non erigere mai delle barriere.

Come dicevamo, è stato il Meeting di Giussani e, particolarmente dalle parole di Zuppi, si è avuta la sensazione che l’affetto per questa figura vada oltre i confini di Comunione e Liberazione. Come valuta il calore con cui è stato festeggiato il centenario del Servo di Dio?
Penso che siamo solo all’inizio. Giussani ha mostrato che il Cristianesimo è fondamentalmente passione per l’umano. È stata ricordata la sua grande umanità e la sua capacità di guardare in modo profondo e originale la realtà. Ha mostrato a tutti noi come i criteri del cuore sono in grado di giudicare e far vivere la realtà in modo intenso e non ridotto. E così ha messo in luce il punto di partenza di ogni costruzione umana e sociale.

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