Maria è stata schiava per venti anni. Schiava psicologicamente, fisicamente, sessualmente. Non è storia di secoli fa, ma di oggi. Non è storia di tratta o di prostituzione, di caporalato o di sfruttamento lavorativo, ma una storia di possesso totale. Con una vittima e uno schiavista italianissimi.
Ne avevamo scritto un anno fa quando vennero arrestati due uomini. Ora lo ha sentenziato pochi giorni fa il giudice di Reggio Calabria condannando a 12 anni per riduzione in schiavitù R.R., 70 anni di Cittanova, in provincia di Reggio Calabria. Rito abbreviato, che ha ridotto di un terzo la pena, che altrimenti sarebbe arrivata a 18 anni, poco meno di quanto è durata la schiavitù di una donna calabrese. Oggi finalmente libera, anche se il Covid-19 ora le ha fatto perdere il lavoro.
Un incubo cominciato quando aveva venti anni e finito quando ne aveva quaranta. Quando coraggiosamente ha deciso di denunciare il suo schiavista. "Una vicenda sconcertante e delicatissima - la definisce il procuratore di Palmi, Ottavio Sferlazza che ha seguito l'inchiesta con particolare attenzione -. Quando l'abbiamo scoperta ci siamo chiesti come quella donna avesse potuto accettare quella condizione. Oltretutto da un uomo che era un vero "mostro". L'inchiesta per noi era umanamente molto importante e ora la sentenza ci dà ragione".
Una vicenda rimasta nascosta per venti anni e emersa quasi per caso, grazie a un autogol dello schiavista. Al commissariato di Gioia Tauro arriva un esposto anonimo che accusa la donna di essere una spacciatrice di stupefacenti. Non è stato provato ma il forte sospetto degli inquirenti è che l'autore sia stato lo schiavista, per ritorsione. Ma allora non sapevano nulla. Scatta così la perquisizione, ma gli agenti della Ps, guidati dal dirigente Diego Trotta, capiscono che l'accusa è calunniosa. Sono due donne e con sensibilità e professionalità riescono a conquistare la fiducia di quella donna impaurita, che decide di raccontare tutto, di raccontare i venti anni di schiavitù. Un racconto terribile, una situazione di tale vessazione che i poliziotti, malgrado la lunga esperienza, non avevano mai visto. Per oltre un ventennio nelle mani di R.R., che approfittando della sua fragile condizione psicologica, era riuscito a condizionare e a gestire l’intera sua vita. Violenze fisiche, ma soprattutto una soggezione psichica che aveva annullato totalmente la sua volontà, costringendola a subire rapporti sessuali, violenze fisiche e vessazioni di ogni genere.
Una drammatica storia che comincia nel 1998 quando la vittima, allora ventenne, conosce R.R. in un centro per anziani della Piana di Gioia Tauro. L'uomo spacciandosi per "sociologo" si offre di aiutarla a curare una forma di anoressia di cui era affetta. Così riesce a conquistare la fiducia dell'intera famiglia della donna, dimostrandosi generoso e protettivo. Anche offrendo piccole somme di denaro. Si presenta come uomo importante accreditandosi come massone (lo è stato ma poi espulso), con numerosi agganci tra le forze dell’ordine, la politica, la magistratura e il clero. Tutto falso. Non è un bell'uomo, tutt'altro, mentre lo è la donna. Ma proprio grazie a queste presunte conoscenze, negli anni successivi, riesce a illudere, soggiogare e coartare - fisicamente e psicologicamente - la vittima sino ad annullarne la forza di volontà, perchè intimorita dalle possibili ripercussioni se non avesse assecondato le richieste del suo "aguzzino-protettore". "Se non fai quello che ti dico ti denuncio alla polizia", le ripeteva. Richieste che, ben presto, degenerano in gravi violenze fisiche e innumerevoli pretese di prestazioni sessuali, spesso ottenute in maniera violenta. Maria è come un bancomat. R.R. quando la vuole va a casa della famiglia e se la prende. Come un oggetto. Arrivando fino ad una cruenta interruzione di gravidanza, attraverso un'operazione clandestina condotta senza alcuna precauzione.
E se la donna non accettava scattavano le minacce, di R.R. e del complice F.R.D., accusato di stalking, atti persecutori (lui ha scelto il rito ordinario, non ancora svolto). I due seguono con la loro autovettura più volte la donna, la minacciano di morte, controllando ogni suo spostamento, provocandole un grave stato di ansia e di paura e un fondato timore per la propria incolumità.
Schiavitù e terrore. Una condizione dalla quale Maria ha avuto il coraggio di uscire, denunciando il suo schiavista. Prima taceva per paura e perché convinta che non sarebbe stata ascoltata. Poi ha trovato persone disponibili ad ascoltare il suo dramma. Che ora un giudice ha chiamato con un nome antico ma purtroppo attualissimo: riduzione in schiavitù. È cambiata davvero la vita di Maria, donna finalmente libera. Va spesso in commissariato a trovare gli uomini e le donne che hanno capito il suo dramma, e nei quali ha riposto fiducia. Una vita tornata vita vera dopo venti anni. Una vita e un lavoro in un bar. Ma poi arriva il Covid-19, il bar non riapre e Maria perde il lavoro. Chi la può aiutare? Chi può aiutare la sua nuova vita?