mercoledì 21 dicembre 2022
Una ventina di realtà cristiane, e non solo, in campo per trasformare la società, a cominciare da stili di vita e relazioni. Don Pagniello (Caritas): «Serve una grande alleanza»
Un momento dell'incontro organizzato da una ventina di realtà impegnate nel sociale

Un momento dell'incontro organizzato da una ventina di realtà impegnate nel sociale - Collaboratori

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Lo dice chiaro: «Ci stiamo suicidando». Pierluigi Sassi, presidente di “Heartday Italia” non ci gira intorno. E nemmeno gli altri, tutti d’accordo: basta un’occhiata a guerre, ambiente, crisi ambientali, sociali, economiche società per capire quanto l’umanità stia andando a a schiantarsi contro un muro e acceleri anche, come «accecata» e «appiattita in un eterno presente». Tuttavia non è finita: «Servono comunità e conversione - spiega sempre chiaro Giuseppe Notarstefano, presidente dell’Azione cattolica -. E non basta la transizione, occorre la trasformazione». Ma realmente si può fare? «Sì».

Così, proprio per «leggere il tempo in cui viviamo» e poter costruire «l’avvenire della casa comune», ieri si sono ritrovate una ventina di realtà cristiane e non solo (da Ac e Caritas a Focsiv, dalle Acli a Mcl, da Pax Christi alla Fondazione Missio, impossibile citarle tutte). Dopo essersi impegnate per cinque anni in una campagna – “Chiudiamo la forbice” –, per denunciare le crescenti diseguaglianze globali in tutti i settori della vita (economiche, territoriali, educative, sociali) e offrire riflessioni e strumenti per «pensare un nuovo paradigma alla luce dell’enciclica “Laudato si”».

Punto di partenza, ieri: tutti convinti che questa grande alleanza proprio sull’”avvenire della casa comune” debba «continuare a camminare insieme», dice don Marco Pagniello, direttore di Caritas italiana. Che debba subito trovare linguaggi più incisivi e diretti e «soprattutto parole comuni», ripete Marco Tarquinio, direttore di Avvenire, che modera l’incontro. E poiché il tempo ormai stringe, si deve fare qualcosa d’efficace adesso e tutti insieme, non separatamente. «Siamo in un cambiamento d’epoca e credo qualcosa debba cambiare anche in noi – dice ancora don Pagniello –. La povertà che uccide è la miseria, figlia delle disuguaglianze e di una distribuzione ingiusta delle risorse».

Così «viviamo in un mondo dove c’è la miseria, la povertà e la ricchezza – spiega Ernesto Olivero, fondatore del Sermig –. Noi dobbiamo scegliere la povertà come beatitudine, ma fare in modo che la ricchezza aiuti la miseria a essere eliminata», oltre ad «avere il coraggio di dire “ma le armi a cosa servono?”».

Una delle richieste che i missionari fanno «in maniera fortissima», per esempio – sottolinea don Giuseppe Pizzoli, direttore di Missio – «è il cambiamento degli stili di vita e non solo questi»: non è un caso se «i Paesi più ricchi di materie prime sono quelli dove la gente è più povera».
La situazione è brutta. Bruttissima: «Al mondo settecento milioni di persone vivono con meno di due dollari al giorno» e «il dieci per cento della popolazione detiene il settantasei per cento della ricchezza - ricorda Giovanni Paolo Ramonda, successore di don Oreste Benzi alla guida dell’Associazione Papa Giovanni XXIII - e continuiamo a spendere in armamenti».

Negli ultimi anni la “forbice” delle disuguaglianze «si sta sempre più divaricando, non solo per i redditi, ma anche per la qualità del lavoro - ricorda Emiliano Manfredonia, presidente delle Acli -. Ci sono tante persone che lavorano, eppure il loro reddito non riesce a soddisfare le esigenze primarie». E neppure è tutto: «Ci siamo drammaticamente accorti che, negli ultimi due anni, le persone che hanno subito più conseguenze dalla crisi sono donne, giovani, con figli».

Morale, condivisa ancora da tutti? Bisogna muoversi più di prima a «sensibilizzare e informare» territori e comunità «sulle interconnessioni tra diseguaglianze, diritto al cibo, migrazioni, conflitti, ambiente e finanza». Ma anche a raccontare e «moltiplicare le esperienze e le iniziative educative, di advocacy, di solidarietà concreta». Valorizzando «il lavoro dei territori» e «le relazioni create tra gli organismi promotori della campagna, con i diversi soggetti locali».

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