Ursula von der Leyen presenta la posizione della Commissione europea in vista del vertice sull'energia del 9 settembre 2022 - © EU/Dati Bendo
C’è più di qualcosa che non torna nella strategia della Commissione europea contro l’emergenza energetica. Le dichiarazioni di ieri di Ursula von der Leyen hanno, se possibile, aumentato le perplessità.
La presidente della Commissione Ue ha presentato come un successo la discesa della quota russa sul totale delle importazioni di metano in Europa dal 40% di prima della guerra al 9% di questi ultimi giorni. «Ora il nostro lavoro degli ultimi mesi ripaga davvero» ha detto la presidente della Commissione europea. Ma se la quota del gas russo è scesa sotto il 10% la settimana scorsa è perché Gazprom, con una scelta politica camuffata da problema tecnico, ha chiuso Nord Stream, cioè il principale canale di fornitura di metano in Europa. A inizio giugno l’Europa riceveva da Nord Stream 1,2 miliardi di metri cubi di gas alla settimana, scesi sotto i 500 milioni a luglio e azzerati dal 31 agosto. L’Europa avrebbe bisogno di quel gas e continuerebbe a comprarlo, se solo Mosca glielo vendesse ancora.
Invece il Cremlino ha fermato Nord Stream, così come a febbraio – con una decisione ufficialmente politica – aveva chiuso Yamal, il gasdotto che passava dalla Polonia. Ed è sempre la Russia, al momento, a tenere aperti gli ultimi due collegamenti attivi rimasti: il gasdotto Brotherhood, quello che arriva in Ucraina (e porta il gas russo destinato anche all’Italia), e il Turkish Stream, che raggiunge Grecia e Romania. Dai due gasdotti stiamo importando ancora circa 80 milioni di metri cubi di gas al giorno dalla Russia e nessuno, nell’Ue, propone di rinunciarci.
La diversificazione delle forniture, che procede, è il rimedio al taglio delle esportazioni dalla Russia all’Europa, non ne è la causa. Per il momento però non abbiamo trovato abbastanza fornitori alternativi: senza il gas russo rischiamo un inverno freddo e pieno di blackout.
Anche sul tetto al prezzo del gas la Commissione ha un approccio poco comprensibile. Bruxelles vuole mettere un limite massimo solo al prezzo del gas importato dalla Russia. Non avrebbe un grosso effetto sulle quotazioni, dato che il gas russo è ormai meno del 10% di quello che importiamo, e rischierebbe di portarci allo stop definitivo delle forniture da Mosca, spingendo ancora più in alto le quotazioni del poco gas rimasto a disposizione. L’Italia propone un tetto al prezzo di tutto il gas importato in Europa, una misura che può essere complicata ma è evidentemente più ragionevole. Almeno se l’obiettivo di proteggere l’economia europea dal collasso che rischia con le attuali quotazioni dell’energia elettrica prevale su quello di danneggiare la Russia.
Nei cinque punti presentati da Von der Leyen non c’è poi nemmeno una riga dedicata al TTF, il mercato olandese riferimento per il prezzo del gas in tutta Europa. È un mercato piccolo, facilmente manipolabile, oggi in preda a una frenesia fatta di panico, ricoperture, speculazione. Con questa crisi il TTF ha dimostrato la sua inadeguatezza, il suo ruolo di “indice” del gas europeo andrebbe ridimensionato. È a questo mercato finanziario che andrebbe messo un tetto, come ha ripetuto ieri, proprio in un incontro a Bruxelles per il think tank Bruegel, Francesco Starace, amministratore delegato di Enel, ricordando di nuovo che i prezzi a cui le aziende comprano davvero il gas non sono quelli dei future del TTF, ormai fuori controllo. In pochi però dentro la Commissione europea sembrano disposti a rivedere davvero le regole del mercato dell’energia, costruito con un approccio ultra-finanziario (e molto nord-europeo) che oggi sta mostrando tutti i suoi limiti.