Di Maio, qui con il premier Conte in una foto d'archivio, è nel mirino dei contestatori del M5s (Ansa)
L'immagine plastica di un Movimento diviso e lacerato dalle conflittualità interne si ha alle 20. A quell’ora, mentre a Palazzo Chigi va in scena il consulto tra i due capigruppo Stefano Patuanelli e Francesco D’Uva con Luigi Di Maio per fare il punto sulla trattativa in corso con il Pd, a Montecitorio inizia l’assemblea congiunta dei parlamentari pentastellati. L’assenza del capo politico alla riunione interna non viene certo apprezzata dall’ala più critica della pattuglia dei 5 stelle. Nel gruppo degli eletti, del resto, il malcontento e l’insoddisfazione nei confronti del leader di Pomigliano d’Arco sono stati d’animo sempre più evidenti. E, quindi, difficili da contenere in sfoghi privati. Per rendere l’idea del clima che si respira nel Movimento, basti dire che un documento elaborato da alcuni parlamentari era pronto a essere consegnato a Di Maio. Un testo in cui si pretendono impegni precisi da assumere e criteri limpidi da adottare nella scelta dei ministri del governo giallo-rosso che (forse) verrà.
Nel mirino, ovviamente, c’è il nodo di sempre: l’eccessivo potere concentrato in poche mani. Luigi Gallo non lo nasconde. «Di Maio aveva troppi incarichi, ora non facciamo gli stessi errori», avverte il deputato nel corso dell’assemblea. Quella di Gallo non è certo una voce isolata. In molti, alla luce degli errori commessi e del crollo del consenso, pretendono adesso un netto cambio di rotta. «La triarchia Di Maio-Bonafede-Fraccaro deve finire», confida un senatore tra i più agguerriti.
Qualcuno legge un velato affondo a Di Maio anche in un post criptico di Beppe Grillo sul suo blog. Quel che è certo, invece, è che il Movimento ribolle come non mai, considerando anche le voci fuori dal coro di Alessandro Di Battista e Gianluigi Paragone. «Con coerenza per tutto quello che ho detto non voterò la fiducia ad un governo con il Pd», dice il senatore. Insomma, a poche ore dal momento della verità non c’è sintonia sulla strada da percorrere. Anche se per il momento, con una crisi di governo che resta un rebus, si escludono spaccature. La resa dei conti è rimandata.
In questo caos regnante e nel giorno in cui alle 19 il M5s è chiamato a salire al Quirinale per chiudere il secondo giro di consultazioni, sembrava sempre più a rischio anche il voto su Rousseau. «Ormai non ci sono i tempi per farlo», confidava una fonte interna. Sarebbe un altro boccone amaro da mandare giù per Davide Casaleggio, sempre convinto che la piattaforma debba essere centrale. Ore d’incertezza fino alla soluzione di compromesso, voluta anche per fugare il rischio che la "fuga" dalla consultazione fosse letta come figlia della paura: prima che la proposta finale di governo «venga sottoposta al presidente della Repubblica sarà votata on-line dagli iscritti», si è letto a tarda sera in un annuncio sul Blog del Movimento. «Solo se il voto sarà positivo il governo sarà supportato da M5s», conferma Di Maio. E sui social «tanti attivisti ci stanno tartassando di proteste, dicendo che non ci voteranno mai più se andiamo al governo con i dem», raccontano con preoccupazione dal Movimento.