Le mani dei mercanti di schiavi sui prigionieri africani dei lager libici. Non quelli a cinque stelle, che esistono solo nelle menzogne che nutrono l’odio e i luoghi comuni nelle discussioni sui social e nei bar. Ma quelli autentici, ufficiali, pagati dall’Ue e gestiti dal governo tripolino, sovraffollati da migliaia di persone bloccate o respinte in Libia dalla politica europea ed italiana dove donne, bambini e uomini vengono ammassati, maltrattati e costretti a vivere in condizioni inumane. Eppure diversi detenuti sono richiedenti asilo o provengono da Paesi quali Eritrea e Somalia per i quali lo status viene comunemente concesso. Ma gli viene impedito di esercitare questo diritto.
La coltre di silenzio e indifferenza che avvolge questo orrore quotidiano – relegato a danno collaterale nelle discussioni europee su sbarchi e Ong – viene bucata dalle testimonianze dei prigionieri che riescono a filtrare via Whatsapp. Come Salomon, pseudonimo di un giovane eritreo prigioniero nell’inferno del campo dalla metà di maggio scorso, arrestato dalle milizie dopo una fuga di 24 ore dall’altro lager di Gharyan. Abbiamo raccontato la sua storia su Avvenire lo scorso 25 luglio, quando la Caritas italiana chiese al governo di organizzare una evacuazione umanitaria almeno per i soggetti vulnerabili.
Da ieri – mi scrive all’alba Salomon disperato dopo una notte insonne – nel centro di detenzione statale Sharie al Matar, alle porte di Tripoli, le porte sono state chiuse, stop anche alla distribuzione di cibo e acqua, documenti e soldi sono stati sequestrati. A dimostrazione che i poliziotti sono complici dei trafficanti di esseri umani, il comandante Wedi Ybeal avrebbe dichiarato ai 1800 prigionieri che sono troppi, che le risorse a disposizione sono finite, quindi devono arrangiarsi. E che di loro non sa cosa farsene, anzi pensa di venderli. Contemporaneamente la rete dei trafficanti che fa riferimento al potente boss eritreo Abu Salam, uno dei misteriosi capi che gestisce la rotta dal Sudan, si è fatta viva con i detenuti proponendo loro di lasciare il lager per imbarcarsi. Ma nessuno si fida.
«Ci vogliono vendere come schiavi – aggiunge terrorizzato Salomon – ai libici piacciono i soldi. Giovedì sono sparite 20 persone dal campo». Sono 19 eritrei e un somalo. La metà era registrata come richiedente asilo dall’Alto commissariato Onu per i rifugiati per la Libia, gli altri no. E quando non si è registrati dall’Onu in Libia, diventa molto più facile scomparire nel nulla. Due dei prigionieri presi erano minorenni. Anche la presenza in una lista delle Nazioni Unite non è rassicurante. Nel campo ci sono 4 latrine e 12 persone sono morte in tre mesi per Tbc e gli effetti del calore e della denutrizione.
Salomon chiede di segnalare il loro dramma all’Acnur, invoca un intervento dell’Europa, mi chiede che fine ha fatto l’umanità. Ieri sera ha potuto almeno ribadire le sue richieste in una diretta radio clandestina a Voice of America.
Non lo hanno potuto fare i 200 prigionieri eritrei spariti 10 giorni fa dall’altro campo statale tripolino di Tariga Siga. La notizia è stata divulgata ieri con un post su Facebook da un rifugiato che vive a Bologna. In una notte di mezza estate le guardie si sono dileguate e i miliziani al soldo dei trafficanti sono entrati nella prigione e li hanno prelevati – nonostante fossero iscritti nei registri dell’Acnur – contro la loro volontà. Sarebbero stati sparpagliati in un altro centro illegale e in diverse fattorie per essere rivenduti come schiavi o torturati per estorcere riscatti. Secondo alcuni testimoni i trafficanti hanno detto di averli comperati, come se fossero bestie, pratica ormai comune in questo Paese 'sicuro'.