I figli di una vittima-simbolo dei clan campani hanno sempre agito sul fronte della legalità in un settore inquinato dalla criminalità. Settimana prossima la decisione sul sequestro delle loro aziende
Sono liberi Antonio e Nicola Diana, i fratelli imprenditori casertani, simbolo della lotta alla camorra, arrestati il 15 gennaio con l’accusa di essere collusi col clan dei 'casalesi', e in particolare col gruppo di Michele Zagaria. Nella serata di giovedì la Cassazione ha accolto il loro ricorso annullando «senza rinvio» l’ordinanza di custodia cautelare che li ha tenuti agli arresti domiciliari per quattro mesi e mezzo. Ora bisognerà attendere il deposito delle motivazioni della Corte, ma l’aver deciso «senza rinvio» già parla molto. Significa, infatti, che i giudici della sesta sezione della Cassazione non ritengono necessario chiedere ulteriori atti al Tribunale del riesame che il 12 febbraio aveva respinto un primo ricorso degli imprenditori. Evidentemente, leggendo gli atti, li ritengono sufficienti per annullare gli arresti, che oltre Antonio e Nicola, riguardano lo zio Armando.
Una decisione che contrasta profondamente con quanto contenuto sia nell’ordinanza del Gip che nella decisione del Riesame. Nella prima, facendo proprie le accuse della Dda di Napoli, il Gip scriveva che Antonio e Nicola «stipulavano un accordo con il clan dei casalesi... in virtù del quale beneficiavano della forza di intimidazione del clan, grazie alla quale ricevevano protezione da qualunque iniziativa illecita, segnatamente estorsiva, programmata dalle diverse fazioni del clan». Aggiungendo che «non risulta che abbiano negli anni adottato diverso 'stile di vita' ». Accuse che erano state confermate dal Riesame secondo il quale «le modalità usate per portare a termine la vicenda criminosa, si rivelano indubbiamente sintomatiche di un concreto e intenso pericolo di commissione da parte dei prevenuti di altri gravi comportamenti delittuosi della stessa specie di quelli per cui si procede, vista la loro dimostrata spregiudicatezza e la comprovata inclinazione a farsi forti del proprio dominio criminale su una determinata area». Per questo il Tribunale aveva deciso che i fratelli Diana dovevano restare agli arresti domiciliari.
La Cassazione evidentemente la pensa diversamente. Anche perché appare difficile pensare che in così pochi mesi sia cambiato il quadro descritto dall’accusa. Molto più concreta la possibilità che la Cassazione ritenga insufficienti, o ancor meno, gli elementi raccolti contro i Diana. L’accusa si basa, lo ricordiamo, solo sulle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia, senza riscontri né documentali né di intercettazioni. Mentre dall’altra parte c’è la storia di Antonio e Nicola, figli di Mario Diana, imprenditore di Casapesenna (il paese-feudo di Michele Zagaria), ucciso il 26 giugno 1985, vittima innocente della camorra, perchè si era opposto ai loro affari, perchè «era una brava persona», aveva detto una donna del clan in un’intercettazione.
I figli ne hanno proseguito la strada, imprenditori di successo nel settore dei rifiuti, con le imprese Sri e Erreplast, leader in Italia nella selezioni dei materiali e nel riciclaggio della plastica. Imprenditori puliti, in un settore inquinatissimo dalla criminalità non solo in Campania, e impegnati sul fronte della legalità e della solidarietà sia con le proprie aziende che con la Fondazione intitolata al padre. Per questo il loro arresto aveva sconvolto tutto il mondo dell’antimafia, ma anche quello ambientalista e della buona economia.
Ovviamente la decisione della Cassazione li ha rasserenati. Li abbiamo sentiti, sono commossi ma preferiscono non parlare. Ed è comprensibile. Oltretutto sempre la Cassazione il 4 giugno dovrà decidere sul ricorso contro il sequestro delle loro aziende che da gennaio hanno un amministratore giudiziario. Dopo la decisione di giovedì il loro dissequestro confermerebbe i forti dubbi su questa inchiesta.