«Ci stiamo mettendo al passo con l’Europa. Ma in realtà possiamo essere anche più ambiziosi. Se al diritto alla disconnessione per papà e mamme uniamo la fluidità di smart worke flex work, permettiamo alle famiglie di avere un migliore bilanciamento tra lavoro e casa». È questa, nelle parole del capogruppo del M5s nella commissione Lavoro della Camera Niccolò Invidia, la filosofia dietro all’emendamento (a sua prima firma) che introduce nel ddl di conversione del decreto Covid del 13 marzo, approvato martedì da Montecitorio, il diritto alla disconnessione per chi lavora in modalità agile. Un’azione legislativa subito rilanciata da un’altra deputata del M5s, Valentina Barzotti, che ha presentato un odg, anch’esso approvato, che impegna il governo a «garantire e rafforzare» il diritto alla disconnessione per tutti i lavoratori, con un’attenzione particolare alle donne e alla conciliazione casa-lavoro.
È «condiviso da tutte le forze di maggioranza », incalza Invidia, dunque potrà «supportare altre iniziative in modo da arrivare a mettere questo diritto nero su bianco in fonte primaria». L’emendamento al ddl, che dovrà passare anche al Senato entro il 12 maggio, inserisce nella normativa un diritto che la legge del 2017 sul lavoro a distanza rimandava alla contrattazione collettiva. A favore della disconnessione si è pronunciato nel 2020 anche il Garante della Privacy; e in alcuni Paesi, come la Francia, c’è già nella legislazione dal 2016. Consiste nel potersi scollegare dalle strumentazioni tecnologiche, fuori dell’orario di lavoro e nel rispetto di eventuali accordi presi con l’azienda, come la reperibilità. La misura introdotta dall’emendamento pentastellato riguarda per ora i lavoratori da casa con figli sotto i 16 anni in Dad, in modo da favorire le attività di cura. E solo nel settore privato. Non è stato per ora possibile coinvolgere tutti i lavoratori.
Ma, assicura Invidia, «la volontà di tutta la maggioranza era di portarlo a casa non solo per quelli in smart work. Il perimetro del decreto Covid ci ha portato, però, a limitare questa ambizione». Si tratta comunque di una «prima breccia nel muro legislativo. Per la prima volta nella legislazione italiana si parla di diritto alla disconnessione ». In concreto cosa significa? «Che - a parte figure con particolari responsabilità, come i manager o i politici, per i quali è comprensibile una reperibilità 24 ore su 24 - un lavoratore, terminato il suo orario, ha il diritto a dedicarsi ad altro». Perché, ribadisce il deputato M5s, «sicuramente c’è il tema del burn out, dello stress per il lavoratore, ma prima ancora c’è una questione di libertà nell’uso del proprio tempo». Che la tecnologia, invece di liberare, rischia di ingabbiare. Fino alla dipendenza dal cellulare, che «unita al fattore ansiogeno di un datore di lavoro che ti pressa, peggiora la vita, blocca la concentrazione e, dunque, la stessa possibilità di avere un pensiero creativo».