Elena Bonetti - .
Crollano le adozioni, i bambini già adottati non riescono ad arrivare in Italia e gli enti autorizzati vanno in cortocircuito. Tanto che il coordinamento – Adozione 3.0 – si è sfaldato e, qualche giorno fa, ha cessato di esistere. Da tempo gli enti avevano chiesto al governo un aiuto straordinario per far fronte al crollo delle adozioni determinato dalla pandemia. Tanto che quest’anno si prevede un netto dimezzamento, da poco più di mille del 2019 a circa 500, sperando di non scendere ancora più in basso. Il governo, a fronte dei 10 milioni richiesti, ne ha stanziati 2,3. Ma le modalità decise dalla ministero della famiglia, guidato da Elena Bonetti, non sono piaciute. Per ottenere cifre varianti da 5 a 50mila euro ciascuno, i 47 enti dovranno stipulare una fideiussione, cioè anticipare in parte i soldi che riceveranno. E non tutti se lo possono permettere.
Ministra Bonetti, non si poteva fare diversamente per aiutare la sopravvivenza degli enti?
La fideiussione è lo strumento di garanzia che ci ha permesso di erogare subito, ovvero in anticipo e a fronte di una semplice autodichiarazione da parte degli enti, le somme per le spese che questi stanno sostenendo in emergenza. Ma bisogna essere chiari: parliamo di fondi pubblici, con somme che arrivano a 50mila euro per ciascun ente. È evidente che un provvedimento che intendesse erogare risorse pubbliche in anticipo e senza garanzie non solo non sarebbe pensabile dall’Amministrazione dello Stato, ma non sarebbe neppure presentabile alla Corte dei conti per l’approvazione. Dico con forza che bisogna fare di tutto per sostenere le adozioni, ma tutto va fatto nel rispetto della legge.
Quindi nessuna alternativa a questa modalità?
L’alternativa alla fideiussione sarebbe stata erogare i fondi a rendicontazione pervenuta, e questo avrebbe significato non dare agli enti un sostegno economico immediato in tempi di emergenza. Certo, una fideiussione ha indubbiamente un costo: l’1% delle somme per cui si fa richiesta, cioè un massimo di 500 euro in rapporto al tetto di 50 mila euro ricevibili per ciascun ente, e la spesa media finora è stata di 300 euro.
Considerate inadeguate, perché insostenibili per la maggior parte degli enti, anche le regole dei bandi per la cooperazione internazionale (otto progetti di cui due Asia, due in America latina, quattro in Africa) con cifre che arrivano fino a 750mila euro. Anche in questo caso la somma va anticipata e, come sopra, oltre la metà degli enti non ce la farà. È vero che i consigli degli enti non sono stati ascoltati?
Il bando per progetti di cooperazione internazionale stanzia per gli enti che faranno domanda, complessivamente 4.5 milioni di euro, importanti nella direzione di rafforzare il sistema delle adozioni internazionali in sinergia con la cooperazione internazionale prevista dalla Convenzione dell’Aja. È il primo bando di cooperazione dal 2010, mette in campo risorse molto più consistenti rispetto al passato e sono contenta che siamo riusciti a scriverlo in piena pandemia. Proprio in vista della sua redazione abbiamo opportunamente chiesto agli enti osservazioni e proposte. Di queste il testo ha tenuto debitamente conto – penso ad esempio all’attenzione ad una adeguata distribuzione territoriale – ma sempre nel rispetto del quadro normativo che regola la normale erogazione di fondi pubblici. In questo caso lo Stato copre l’80% delle spese dei progetti, le erogazioni agli enti sono di un primo 20% all’approvazione, un altro 40% dopo un anno, su presentazione dello stato di avanzamento e della rendicontazione delle spese, e il restante 40% a progetto concluso.
Ma lei ha incontrato e ascoltato gli enti?
Sì, alla fine di aprile e a maggio, un calendario di incontri serrato, che è stato necessario per seguire puntualmente le diverse questioni emergenti a causa della pandemia.
Ritiene che il comportamento del ministero abbia qualche responsabilità nello scioglimento dei cartello degli enti, 'Adozioni 3.0' ?
Ne ho ricevuto comunicazione giovedì e ho convocato gli enti a riguardo per avere aggiornamenti sulla situazione e un confronto sulle motivazioni. Trovo che le forme di coordinamento siano sempre il segnale di una buona collaborazione e di uno scambio proficuo tra soggetti che condividono uno stesso impegno, ma posso dire che dal nostro punto di vista lo scioglimento non inficia l’interlocuzione continua e costante che la Cai ha e continuerà ad avere con tutti gli enti autorizzati.