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Speranza ridotte al lumicino. Resterebbero ormai poche ore di vita alla piccola Indi Gregory dopo che i giudici della Corte d’Appello di Londra hanno respinto in tronco anche l’ultimo ricorso, quello presentato giovedì. La bambina di otto mesi affetta da una rarissima malattia mitocondriale, è condannata per sentenza, contro il volere della famiglia, alla sospensione dei trattamenti che la tengono in vita. Secondo le ultime notizie diffuse dal portavoce di Pro Vita & Famiglia, Jacopo Coghe e dall’avvocato Simone Pillon, il ventilatore meccanico che aiuta la piccola a respirare verrà spento oggi, sabato, giorno in cui la bimba verrà trasferita in un hospice. Nell’udienza di ieri i giudici avevano fissato come termine per il distacco dei dispositivi vitali lunedì 13. Ma, poco dopo, hanno dichiarato Coghe e Pillon, è stato precisato che l’interpretazione corretta della sentenza indica che il distacco verrà effettuato il prima possibile, dunque già oggi.
E questa mattina il portavoce della Sala stampa vaticana, Matteo Bruni, ha fatto sapere che papa Francesco «si stringe alla famiglia della piccola Indi Gregory, al papà e alla mamma, prega per loro e per lei, e rivolge il suo pensiero a tutti i bambini che in queste stesse ore in tutto il mondo vivono nel dolore o rischiano la vita a causa della malattia e della guerra».
È davvero la fine di questa triste storia? Così pare. Resta solo un passaggio, a questo punto disperato, della battaglia tentata per strappare Indi alla privazione dei supporti vitali. Pochi minuti prima che il giudice Peter Jackson, ieri, leggesse il verdetto, è stata ufficializzata la lettera con cui la premier italiana Giorgia Meloni ha sollecitato il segretario di Stato per la Giustizia del Regno Unito, Alex Chalk, a collaborare per facilitare il trasferimento della bambina, ricoverata al Queen’s Medical Center di Nottingham sin dalla nascita, al Bambino Gesù di Roma, che si è offerto di prenderla in carico. L’esecutivo italiano, che lunedì ha concesso a Indi la cittadinanza italiana, chiede l’applicazione al caso della Convenzione dell’Aia del 1996, un accordo internazionale sulla responsabilità genitoriale e la protezione dei minori ratificato dal Regno Unito nel 2012 e dall’Italia nel 2015. Nella missiva la premier chiede al governo britannico di «mettere formalmente a conoscenza l’autorità giudiziaria che sta esaminando la questione» delle possibilità che avrebbe in Italia. Ovvero «l’accesso al protocollo terapeutico proposto da un importante ospedale pediatrico». «Credo fermamente – aggiunge - che ciò sia nell’interesse della bambina: non le causerà alcun dolore, come assicurano i medici, e le darà solo un’ulteriore concreta opportunità di vivere una vita dignitosa. Spero - conclude - che possiate accogliere questa mia richiesta in tempo, nello spirito di collaborazione che da sempre caratterizza i rapporti tra i nostri due Paesi».
Da Downing Street i portavoce del primo ministro Rishi Sunak si sono limitati a dire che «il governo non commenta i casi individuali». Molto più eloquente è stato invece il passaggio della sentenza emessa dai giudici che, con tono liquidatorio, hanno sottolineato che la richiesta dell’Italia «non è nello spirito della Convenzione» a cui Palazzo Chigi fa riferimento, e che il suo intervento, nel caso, è «completamente sbagliato». I togati, apparsi già durante l’udienza visibilmente irritati, si sono spinti oltre ricordando, in modo pungente, che i tribunali inglesi sanno valutare «l’interesse superiore» della bambina.
L’attivismo italiano pare, insomma, aver infastidito la magistratura britannica che ha colto l’occasione anche per denunciare il clima «surreale» di un contenzioso caratterizzato da una valanga di ricorsi e da procedure inusuali. Come l’intervento del console italiano a Manchester, Matteo Corradini, che mercoledì, diventato giudice tutelare di Indi appena le è stata conferita la cittadinanza italiana, ha avviato le procedure per chiedere il trasferimento di giurisdizione del caso da Londra a Roma. È improbabile, va detto, che il premier Rishi Sunak intervenga in queste ore a favore dell’«amica Giorgia» considerato che lui stesso non ha un rapporto facile con i togati. Anche perché la prossima settimana è atteso il verdetto della Corte Suprema sulla legittimità del suo controverso “piano Ruanda”.
L’urgenza dei giudici dell’Appello sarebbe dettata, stando all’argomentazione dei medici (ma non certo quella dei genitori), dal deterioramento delle condizioni della piccola. L’opzione dell’hospice, tra l’altro, era ritenuta impraticabile durante il fine settimana. Ma ieri sera è diventata una certezza. Indi non verrà lasciata andare a casa, nell’appartamento a Ilkeston, nel Derbyshire, dove vivono le sue tre sorelle. Per i genitori della piccola, Dean Gregory e Claire Stanifort, «è un ultimo calcio nei denti». Intervistato da Bruno Vespa nella trasmissione Cinque minuti di Rai Uno, ieri sera, Dean ha fatto sapere di aver chiesto il Battesimo per la piccola Indi.
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