sabato 14 maggio 2016
L’arresto del ginecologo Antinori, accusato di aver prelevato ovociti senza consenso per l'eterologa, mostra gli effetti dell’assenza di regole dopo la fine del divieto.
Eterologa, la corsa all’oro degli ovociti
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Rubati, comprati o ricevuti, una cosa è certa: nel nuovo business italiano della provetta eterologa gli ovociti sono diventati oro. Preziosi e rarissimi, ormai da mesi ospedali e cliniche ne denunciano la mancanza chiedendo da un parte alle istituzioni di intervenire per promuovere campagne e spot mirati a incentivare le donatrici, dall’altra muovendosi per ottenerli. Il campo è minato. Dalla sentenza del 2014 della Corte Costituzionale, che ha fatto cadere il divieto di eterologa, su un’unico punto c’è stata chiarezza: le cellule riproduttive, proprio come i tessuti e gli organi, devono essere donate a titolo gratuito e volontariamente. Poco male per la raccolta di seme maschile, che non è invasiva. Diverso – Avvenire lo ha scritto molte volte – per le donne, che a un’ipotetica donazione di ovociti devono dedicare almeno due settimane di cure ormonali (con iniezioni quotidiane) e un intervento in day hospital in anestesia totale per il prelievo degli ovuli. Non a caso in molti Paesi europei dove l’eterologa è ammessa le donatrici vengono retribuite: che sia un compenso o un "rimborso spese", gli assegni delle cliniche dalla Spagna alla Gran Bretagna superano i mille euro. Soldi per le “donazioni”. E una volta raccolti, gli ovociti fanno la fortuna di chi li maneggia: un kit necessario a un ciclo di eterologa – quindi a un tentativo per singola paziente (con circa la metà delle probabilità che diventi mamma) – si aggira intorno ai 2.800 euro, ma con specifiche particolari può arrivare fino a 3.500, 4mila o anche a 10mila nel caso si opti, per esempio, per l’esclusività della donatrice. Di qui i cataloghi delle ovobanche, la possibilità di scegliere in base a fotografie o “curriculum vitae” e tutti gli aspetti agghiaccianti del mercato della vita più volte stigmatizzati. Finché il problema non si è posto anche da noi. E i nostri ospedali pubblici alle banche degli ovociti (o del seme) danesi e spagnole sono dovuti ricorrere, come nel caso del Careggi di Firenze. Di “pacchetti” di ovuli a metà dello scorso anno – ultimi dati disponibili – ne avevamo acquistati 855, destinati a 420 coppie. I numeri dicono che attualmente cinque figli su dieci dell’eterologa nel nostro Paese hanno Dna straniero. Bimbi nati? La stima è poco più di un centinaio. Gratuità della donazione a parte, l’eterologa in ogni caso resta materia lontanissima dall’essere normata. Le Regioni si sono mosse in ordine sparso con delibere proprie: ognuna ha deciso per i suoi limiti d’età, per i suoi rimborsi, le sue regole. Tre (Toscana, Emilia Romagna e Friuli Venezia Giulia) chiedono un ticket alle coppie. Ma l’omogeneità dei trattamenti – e quindi la certezza che avvengano secondo la legge, che in questo campo fa capo a Bruxelles – è un miraggio. Non a caso il ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, commentando l’arresto del ginecologo Severino Antinori, ha ricordato come «riguardo alla fecondazione eterologa fin dall’inizio abbiamo detto che la sentenza della Consulta non era immediatamente esecutiva, ma aveva bisogno di molti interventi di adeguamento normativo, che abbiamo fatto subito e completamente per quanto riguarda le nostre competenze». Il riferimento è alla direttiva europea 17 del 2006, che regola proprio la donazione di gameti per l’eterologa (con l’elenco degli esami clinici e genetici e il numero massimo dei nati per donatore) e che da noi resta al palo perché a recepirla – dopo Garante della privacy, Consiglio superiore di sanità e Conferenza Stato-regioni – ora dovrebbe pensare la Presidenza del Consiglio.  Così, nelle pieghe di miopie e ritardi istituzionali, con quel mercato che bussa alla porta, ecco che il rischio del fai-da-te – se non addirittura dell’illegalità – che si fa più che mai concreto. Se va bene è l’egg sharing, ovvero la condivisione di ovuli tra donne che si sottopongono alla provetta nello stesso ospedale: ma i casi per ora si contano sulle dita di una mano. Diversamente si passa al reclutamento di studentesse nelle università, di giovani donne nelle periferie, o di stagiste, magari “assunte” a tempo per coprire la donazione. Anche le coppie si muovono, acquistando i gameti all’estero, molte online. In Emilia Romagna (dove l’eterologa è tra le prestazioni a carico del Servizio sanitario) quattro si sono viste rimborsare le spese sostenute. Il rispetto delle norme – che prevedono tracciabilità dei tessuti e certificazione dei centri – è tutto fuorché garantito.
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