La domanda era sempre la stessa: «Da dove vieni?» e anche la risposta era sempre uguale: «Vengo da San Lazzaro». Non aveva dubbi Ali Tanveer, quando da ragazzo gli chiedevano della sua provenienza. Finché, proprio il giorno dell’esame di maturità, un’insegnante non gli ha detto che, avendo il passaporto pakistano, non poteva definirsi italiano. Nonostante il brillante risultato, Alì torna a casa con l’amaro in bocca e una profonda crisi di identità.
«Sono arrivato in Italia quando avevo appena 5 anni e per me è stato traumatico. In Pakistan vivevo in una casa grande, circondato da parenti e da altri bambini. Quando sono arrivato a San Lazzaro, abitavamo in una casa piccola e isolata. Ero arrivato addirittura a pensare che in Italia non ci fossero bambini». Per tutta l’infanzia Alì vive rinnegando le sue origini e la sua diversità. «Non sopportavo che mio padre mi insegnasse la sua lingua, per me era un’imposizione. Anche la mia identità religiosa all’inizio era problematica, mentre oggi sono sereno e credo con amore. Solo crescendo ho capito che la diversità è una ricchezza, un talento da sfruttare».
Oggi Alì è impegnato con diverse realtà associative, tra cui Next Generation Italy e il Congi, e lavora nel terzo settore con profughi e migranti, aiutando molti giovani a gestire la propria identità etnica e religiosa. «La cittadinanza è soprattutto una questione ideologica. Per chi cresce in Italia è naturale sentirsi italiano, ma senza un riconoscimento formale, si rischia di avere un conflitto interiore che può creare sofferenza».
Come fare la pace per le proprie radici pakistane
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