L'arresto del boss Messina Denaro dopo lunghi anni di latitanza - Reuters
Nessun pentimento, neppure adesso che la malattia lo sta sfiancando pesantemente. Le condizioni di salute di Matteo Messina Denaro si sono ulteriormente aggravate, ma nel cortocircuito mediatico che si è originato ieri intorno alla sua detenzione all’Aquila, oltre alla richiesta dei suoi legali di valutare l’incompatibilità con il 41-bis, sono state le sue dichiarazioni a far ancora una volta discutere.
Nessuna concessione, nessuna apparente redenzione, in perfetto stile Cosa nostra. La mafia? «La conosco dai giornali. Io mi sento uomo d’onore, ma non come mafioso», anche se «la mia vita è stata avventurosa». L’orrore del piccolo Giuseppe Di Matteo, rapito e sciolto nell’acido? «Non c’entro». Gli insulti a Giovanni Falcone in auto, ripresi nel giorno delle commemorazioni del giudice ucciso a Capaci? «Io non è che volevo offendere il giudice Falcone, non mi interessa... Il punto qual è? Che io ce l'avevo con quella metodologia di commemorazione». La cattura? «Non voglio fare il superuomo e nemmeno l’arrogante, ma voi mi avete preso per la mia malattia». Quanto al concorso esterno in associazione mafiosa, «è un argomento farlocco».
Le dichiarazioni sono state rilasciate al procuratore di Palermo Maurizio de Lucia e all’aggiunto Paolo Guido e, lette tutte d’un fiato, restituiscono bene la personalità del superlatitante e spiegano bene perché ha avuto la capacità di inabissarsi per lunghi anni nella sua terra d’origine, grazie a una fitta ragnatela di complicità. A tal proposito, è lo stesso Messina Denaro a parlare della sua vita a Campobello di Mazara. «Mi sono creato un’altra identità. Giocavo a poker, mangiavo al ristorante, andavo a giocare».
Oggi però il superboss, colpito da un tumore, è molto malato: nel penitenziario abruzzese è stata allestita per lui una stanza per la chemioterapia, mentre nelle scorse settimane si è reso necessario anche un piccolo intervento per problemi urologici.
Per il suo avvocato, Alessandro Cerella, «deve essere assistito 24 ore al giorno. Le condizioni sono peggiorate e non sono compatibili con il carcere duro. A strettissimo giro - ha spiegato - presenteremo istanza per il ricovero ospedaliero».
Messina Denaro, ha sottolineato il suo legale, «assume un po’ di acqua ed integratori ed è molto dimagrito. I medici dell’ospedale dell’Aquila che lo hanno preso in cura da gennaio non lo vedono tutti i giorni e lui ha bisogno di una assistenza giorno e notte da parte di una infermiera». Secondo alcune fonti, «la situazione, seppur grave, non ha richiesto al momento alcun trasferimento né cambio di cure». Messina Denaro «non sarebbe in pericolo imminente di vita» almeno secondo quanto emerso dall’ultima tac effettuata in ospedale domenica scorsa.
Il boss, condannato all'ergastolo per le stragi del 1992-1993, è detenuto nella struttura dell'Aquila dal 16 gennaio scorso, dopo essere stato arrestato a Palermo dai carabinieri del Ros. Proprio la sua malattia aveva portato gli investigatori e i magistrati sulle sue tracce. In un “pizzino” ritrovato il 6 dicembre a casa della sorella Rosalia era stato infatti trovato un diario con gli aggiornamenti sulla situazione clinica del latitante, con le operazioni subite, gli esami e i cicli di chemioterapia. Subito dopo il trasferimento di Denaro nel supercarcere dell'Aquila, il boss trapanese ha incontrato la figlia e le sorelle.
Proprio la famiglia è stato oggetto di uno dei tanti confronti avvenuti con la magistratura dopo il suo arresto. «Vivo bene di mio, di famiglia. Mio padre era un mercante d’arte» ha detto ricordando il genitore, morto da latitante e ritenuto uno dei fedelissimi dei corleonesi di Totò Riina.